Finora Tersite Rossi – il collettivo di scrittura che deve il suo nome all’epica omerica e all’uomo comune, il signor Rossi, appunto – ha pubblicato soltanto romanzi. La loro ultima fatica, invece, è una raccolta di racconti, intitolata Chroma. Storie degeneri (Les Flâneurs Edizioni, pp. 187, euro 15). La ragione di tale scelta è dovuta, come spiegano i due autori nella sezione ringraziamenti che chiude il libro, all’interesse riscontrato dalla pubblicazione on line di loro novelle in gran parte inedite all’interno di «Il dispaccio di Tersite» (tersiterossi.substack.com).
In realtà già in Sinistri, pubblicato dalle edizioni e/o, nella collana Sabot/age curata da Massimo Carlotto ( il manifesto del 5 giugno 2012) la forma romanzo si piegava ad accogliere al suo interno dieci storie brevi, che mettevano chiaramente in luce la capacità di Tersite Rossi di affrontare anche questo genere di narrativa. Abilità che risulta ulteriormente confermata dalla lettura di Chroma.

OGNI RACCONTO richiama un colore e dopo un breve prologo, dedicato al bianco, si succedono il nero, il blu, il giallo, il rosa e il rosso, che dovrebbero rimandare rispettivamente al genere horror, a quello distopico, mistery, erotico e politico. Ma, come chiariscono subito gli autori, nessuno aderisce del tutto «al genere che il rispettivo colore simboleggia, e ciascuno ne sovverte regole e stilemi». Storie degeneri, dunque, come recita il sottotitolo, perché non rispondono a norme e convinzioni consolidate. E anche perché, ed è lo scrittore collettivo a parlare chiarendo il proprio intento, «graffiano come le spine di una rosa. O gli artigli di un mostro». Del resto, uscire dagli schemi, presentare al pubblico opere difficilmente definibili e, sempre e comunque urticanti, sono fin dal principio gli elementi che caratterizzano la narrativa di Tersite Rossi. Come nei romanzi precedenti, anche queste storie spingono il lettore a riflettere, a interrogarsi su quanto sta accadendo e su quello che potrebbe accadere. Costringono a pensare, ma senza assolutamente perdere il piacere della lettura grazie, soprattutto a una capacità di scrittura che rende difficile abbandonare la narrazione. E anche per una grande perizia nella struttura delle storie, che emerge pure e soprattutto nella varietà delle forme narrative.
Si arriva a richiamare in qualche modo l’architettura di Girotondo di Arthur Schnitzler o del film La ronde (in italiano Il piacere e l’amore) che ne trasse Max Ophüls, in un racconto a struttuta circolare, per cui gli eventi «passano» da un personaggio all’altro fino a ritornare in conclusione a colui da cui tutto è iniziato.

C’È POI UNA STORIA che si collega a un loro romanzo di qualche anno fa, I signori della Cenere (il manifesto, 16 maggio 2017). E tra atmosfere cupe, dark, argomenti duri, lampeggiano ampi squarci di ironia – si veda ad esempio il racconto rosa – che contribuiscono a spiazzare e a sorprendere il lettore. Tanti le suggestioni, i rimandi. Mai fini a se stessi, sempre funzionali alla storia e all’atmosfera. Si va da quelli espliciti, musicali nel caso dei Killers e dei Cranberries, letterari in quello di «perdere e una questione di metodo», frase di Luis Sepúlveda, ma anche splendido romanzo di Santiago Gamboa. A quelli solo suggeriti o forse soltanto immaginati dal lettore, come nel caso del racconto giallo che a un certo punto sembra richiamare Il vestito di Rossini di Paolo Pietrangeli.

GRANDE LA VARIETÀ di spunti, di suggestioni, di riflessioni che il libro offre al lettore, così come di forme e strutture narrative. Il tutto, però, può forse essere ricomposto, trovare un proprio filo unificante proprio nelle ultime righe dell’ultimo racconto. Perché in ultima analisi quello di cui parla Tersite Rossi è un mondo «dove non ci sono, e non ci sono mai stati, buoni e cattivi, ma solo, e da sempre, servi e padroni»