Il ministro dell’economia Roberto Gualtieri ha confermato che il saldo e l’acconto dell’Irap a giugno sono stati cancellati e non rinviati. Si tratta di un bonus per le imprese e professionisti con un fatturato fino a 250 milioni di euro, ad eccezione di banche, assicurazioni e amministrazioni pubbliche. L’importo di questa misura è pari circa a 4 miliardi di euro destinati, con altre tasse, a finanziare il sistema sanitario nazionale. Lo stesso che il governo intende rifinanziare con 3 miliardi 250 milioni di euro dopo che, in dieci anni, è stato tagliato di 37 miliardi di euro. Il saldo della misura, fortemente voluta dalla Confindustria di Carlo Bonomi, si presenta al momento negativo.

«Se sento Confindustria chiedere se si possa cancellare l’Irap, che in parte riguarda anche la sanità, dicendo che potrà essere sostituita dai prestiti dell’Europa (il «Mes»), credo sia un modo sbagliato di ragionare sull’uso dei fondi comunitari» ha commentato il segretario della Cgil Maurizio Landini. .«Intervenire sull’Irap al di fuori di una complessiva riforma fiscale, oltre ad essere iniquo, è profondamente sbagliato» ha aggiunto il segretario generale Uil Domenico Proietti.

Il problema ha investito il governo. Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al ministero dell’Economia ha detto che «è un aiuto che andrebbe anche alle imprese che durante questa tragica epidemia non hanno subito perdite, e le favorisce persino di più di quelle in perdita». A questa critica ha risposto Il vice capogruppo Idi Italia Viva alla Camera Luigi Marattin che si è detto «sconcertato» perché «non c’è un singolo settore che non stia subendo perdite pesanti». La priorità deve restare l’impresa a sostegno della quale ieri Matteo Renzi ha rilanciato un «piano choc» di liberalizzazioni e commissariamenti per grandi e piccole opere in deroga. E poi ha lanciato un nuovo aut aut al presidente del Consiglio Conte: «Nelle prossime ore, capiremo da lui se, sui punti che abbiamo posto, possiamo camminare insieme». Si aprirà e un altro fronte. Il governo non avrà mai pace.

Dal punto di vista sociale colpisce lo squilibrio tra l’incondizionatezza degli aiuti, senza distinzione, alle imprese, la temporalità dei bonus per le partite Iva e la condizionatezza paternalistica dell’esiguo e selettivo «reddito di emergenza». Il problema è stato sollevato da Francesco Laforgia (Leu): «È una contraddizione da correggere». «È insostenibile il taglio dell’Irap, mentre a milioni di famiglie stremate si assegnano risorse drammaticamente inadeguate per il reddito di Emergenza, meno di 1 miliardo, e per il Fondo Affitti, soltanto 140 milioni. Il Parlamento deve intervenire e riequilibrare» sostiene Stefano Fassina (LeU). «Confindustria l’ha spuntata. E non si introduce nessuna forma di tassazione delle grandi ricchezze nemmeno di fronte all’emergenza» hanno commentato Maurizio Acerbo e Antonello Patta ( Rifondazione Comunista).

Il concentramento delle risorse sulla grande impresa ha provocato le critiche delle piccole e medie imprese. Secondo la Cgil di Mestre il «rilancio sarà modesto»: dai tre ai diecimila euro a testa. II bonus da 600 euro, la detrazione del 60% degli affitti per chi ha perso il 50% del fatturato, il taglio delle bollette e il rinvio delle tasse a settembre sono »insufficienti». Un parrucchieri che ha perso oltre 5.833 euro, riceverà il 20%: 1.167 euro; un negozio di abbigliamento con un fatturato da 180 mila euro, che ha perso 15 mila euro, riceverà 3 mila euro. Si teme un’ondata di fallimenti e l’aumento della disoccupazione. In questa prospettiva i rinnovi delle casse integrazioni fino alla fine dell’estate non bastano. Si prevedono numerosi licenziamenti. Per ora il governo sta solo comprando tempo. Anche i sindaci sono inquieti. Tra l’altro il taglio della prima rata Imu per alberghi e pensioni ha sollevato la protesta del sindaco di Napoli Luigi De Magistris: «Tra qualche giorno cominceremo a chiudere i servizi. Se il Governo ha scelto di abbandonare la ripresa dell’Italia, non vi aspettate che ci siano autobus, raccolta rifiuti e tutela del verde pubblico. Stanno consegnando il paese ad un disastro»