Rubriche

Governance

Un commento (di Fabio Bogo) su Affari & Finanza della Repubblica di ieri mi offre lo spunto per la parola di oggi. Sin dal titolo: «Il prezzo da pagare senza […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 7 febbraio 2017

Un commento (di Fabio Bogo) su Affari & Finanza della Repubblica di ieri mi offre lo spunto per la parola di oggi. Sin dal titolo: «Il prezzo da pagare senza governance». Si parte dal caso di una azienda (la filiale italiana di British Telecom) nei cui bilanci si scoprono rossi vertiginosi, mentre il titolo crolla in Borsa. La stampa inglese titola: «I topi in cucina». Ma a quanto pare la faccenda è più complessa: «Il mercato – si legge – sembra credere che in British Telecom ci sia un problema di governance». Non si tratta solo dell’incapacità e/o disonestà di singoli, ma di un intero sistema di regole e procedure che non funziona. Così, almeno, sentenzia «il mercato».

Facile a questo punto estendere il paragone alla cosiddetta «azienda Italia». Da alcuni decenni, ormai, il linguaggio dell’economia e del management si applica disinvoltamente alle questioni dello stato e della democrazia. Anche il sistema politico italiano ha «un problema di governance». Mentre la Spagna infatti ha vissuto benissimo molti mesi senza un governo, grazie all’efficienza di apparati burocratici che hanno fatto funzionare la macchina statale realizzando persino le «riforme» decise a suo tempo, in Italia basta un banale cambio sulla poltrona di Palazzo Chigi per inceppare ingranaggi che girano a fatica anche quando impera la furia rottamatrice di un Renzi.
Ma che cosa si intende esattamente con il sempre più usato (e forse abusato) termine governance?

Azzardo una risposta semplice: gli uffici pubblici dovrebbero avere certe regole e competenze tali da metterli in grado di agire con efficienza e senza troppi dilemmi per risolvere problemi, almeno concettualmente e politicamente, evidenti. Per esempio: tappare le buche nelle strade di Roma (unico argomento programmatico affrontato – peraltro lateralmente: faremo le gare regolari… – dalla sindaca Raggi nella lunga intervista apparsa sul Corriere della sera di ieri).

Per cui: un paese che non riesce a tappare le buche della sua capitale – una delle città più belle e famose del mondo – come può lamentarsi se è afflitto da uno spread più alto di quello spagnolo? È il giudizio del mercato, bellezza! E i bravi burocrati della governance europea non potranno che tenerne conto.

Ma sulla parola esistono riflessioni molto più raffinate e complesse, che la mettono in relazione con il concetto di governamentalità elaborato da Foucault e con il sistema globale neoliberale. Il mondo va avanti mettendo in ombra i governi e gli stati nazionali di una volta, e sembra lasciare sempre più liberi singoli e soggetti organizzati di darsi da fare in piena autonomia. In realtà c’è qualcosa di molto subdolo perché sono i dettami di una governance spesso occulta a determinare scelte e comportamenti. Fino alla manipolazione dei desideri e dei sentimenti.

Così apprendiamo che mentre la apparentemente mite ministra Madia affila le armi burocratiche per punire i «fannulloni», contando sul generale consenso popolare, negli uffici trionfano “gli antipatici”. Quei dirigenti e colleghi che lavorano come pazzi e comandano inflessibili: d’altronde – dichiara uno di loro a Elvira Serra sul Corriere della sera – «quando si hanno poco tempo e scarse risorse la guida autoritaria è quella più efficace».

Come difendersi da una tale minacciosa microfisica del potere antipatico, dopo aver concesso che effettivamente le buche nelle strade andrebbero normalmente tappate?

L’alternativa alla governance globale e neoliberale oggi sono i «sovranisti» Trump, Le Pen, Putin… Urgono nuove idee.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento