>«La tua bellezza sopravvissuta dal mondo antico, richiesta dal mondo futuro, posseduta dal mondo presente, divenne un male mortale»: con questa citazione tratta dal film La rabbia di Pier Paolo Pasolini si apre il volume a fumetti Goodbye Marilyn di Francesco Barilli e Sakka (BeccoGiallo, 2016, 128 pp). È la storia immaginaria, strutturata su note e documenti reali, di un’intervista impossibile con la diva novantenne, quindi come se la sua morte non fosse avvenuta. A raccontarsi sotto sollecitazione quindi vediamo una vecchia segnata da rughe portate con dignità, né nostalgica né amareggiata, che sembra prendere la giusta distanza dal mito che le è stato costruito addosso. La storia di Barilli si concentra a far emergere l’essenza della donna, forse sconosciuta persino a lei stessa, ricoperta «con la buccia del mito». Opera quindi qualche forzatura narrativa di sapore magico-realistico, assecondata dal tratto leggermente sporco e non dettagliato di Roberta Sacchi, in arte Sakka, già dal prologo con la fatina alata Norma Jeane/Marilyn in bilico su una fune sospesa fra la famiglia d’origine e la città acclamante.
Altra invenzione narrativa è il soldato in servizio in un presidio medico della guerra di Corea, padre defunto dell’intervistatore e sua interfaccia spirituale, che aveva assistito all’esibizione della diva per i militari al fronte nel febbraio del ’54.
Giovane donna di 27 anni, la Marilyn di carta lo considera il ricordo più caro e per certi versi il culmine della sua carriera. L’intervista immaginata si conclude con un riconciliazione delle anime dei due tramite il ballo fra la fatina e il soldato, mentre il libro chiude con un ulteriore capitolo biografico veritiero che include una contestualizzazione storica e sociale degli anni ’60 con i Kennedy, King e Dylan.
Il cortometraggio di Maria Di Razza, a cui hanno lavorato anche i due autori del fumetto, asciuga molto la storia originale, togliendo l’aspetto onirico e anche «politico» per concentrarsi su un omaggio dolce e lineare di 13’ a Marilyn, al mito e alla donna che nessuno sapeva capire. Disegni e dialoghi ricalcano fedelmente la parte centrale del graphic novel, con le voci di Maria Pia Di Meo (doppiatrice di Meryl Streep, Audrey Hepburn e Catherine Deneuve fra le tante) e del critico cinematografico Gianni Canova, mentre l’animazione minimale e rallentata affida ritmo e trasporto soprattutto alle parole. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo al volume di origine e al suo autore Francesco Barilli con cui abbiamo parlato.
«Goodbye Marilyn» si sviluppa su una situazione inventata, seppur sorretta da diversi frammenti documentali. Come hai proceduto?
Mi sono sempre ribellato al mito di Marilyn come icona muta di bellezza. Ho dunque scelto di inserire nel racconto frasi, poesie o riflessioni tratte da suoi scritti originali, per la maggior parte presenti in Fragments, curato da Buchthal e Comment (Feltrinelli 2010). Si trattava di appunti quasi sempre scritti a mano, toccanti quanto disordinati: Marilyn scriveva di getto, abbandonando poi quelle frasi senza correggerne ortografia o forma. La selezione dei testi è stata semplice. Ho isolato i brani che maggiormente mi avevano colpito, poi ho cercato di capire dove aveva senso che la «fatina» (ossia il personaggio che nel fumetto segue oniricamente i racconti di Marilyn intervistata) provasse un’emozione che la portasse ad estrarre un biglietto da lasciare lungo il proprio percorso.
Hai raccontato diverse realtà con i fumetti, fra cui Carlo Giuliani, il ribelle di Genova e Piazza Fontana. In che modo intrecci realtà e finzione?
L’impegno civile ha sempre caratterizzato i miei lavori, ma da scrittore devo cercare per ogni storia l’approccio narrativo più opportuno.. La vicenda della sfortunata attrice americana è diversa da quella di Piazza Fontana, anche se la ricerca documentale è altretanto essenziale, ma si accompagna a suggestioni diverse. Così la bimba/fatina che accompagna le scene oniriche è uno spunto contenuto nella prefazione di Antonio Tabucchi a Fragments. Ho dilatato la sua intuizione, adattandola alle finalità del mio racconto.
Hai avuto un ruolo attivo nella creazione del corto animato?
Maria mi ha contattato dopo aver letto il fumetto. Per me, all’inizio, è stato quasi un gioco, poi il progetto mi ha coinvolto sempre di più, a tutti i livelli. Merito di Maria che mi ha travolto con il suo entusiasmo, la sua serietà professionale e la sua capacità di ascoltare le idee altrui. Scrivere per un fumetto e per un cortometraggio sono due lavori diversi. Cambiano i tempi tecnici, le modalità di fruizione da parte dello spettatore.
L’assenza nel corto della fatina-Marilyn e del soldato non tolgono una dimensione più spirituale e interiore?
Maria voleva realizzare un cortometraggio che raccontasse Marilyn al pubblico di oggi con un linguaggio agile. Una trasposizione integrale avrebbe «sforato» di parecchio, quindi abbiamo cercato di individuare un nucleo narrativo adatto a «reggere» la durata richiesta. La soluzione, a quel punto, si è presentata da sé, perché già nel libro la parte centrale è costituita dall’intervista immaginaria. Da quel momento, dopo aver scritto il nuovo soggetto ed essermi confrontato con Maria, la palla è passata nel campo di Oliviero del Papa (che ha saputo mantenersi fedele al testo, adattandolo affinché raggiungesse efficacemente lo schermo) e di Sakka (amica preziosa e disegnatrice di entrambi i progetti: per il film ha dovuto ridisegnare alcune sequenze ex novo). Un’esperienza nuova e bella per me e non è detto che non la si ripeta.