Giusto trent’anni fa nasceva a Parigi Zingarò, teatro equestre che prorompeva dalla forte personalità di un artista come Bartabas. Magnifici cavalli (e altri animali da cortile attorno) diventavano attori e ognuno protagonista di un canto alla natura che non tralasciava le inquietudini che quella animalità brada comporta. Oggi Bartabas è uno dei maestri del teatro, e ha aperto dalle parti di Versailles una vera accademia di teatro equestre. E continua naturalmente a elaborare creazioni fascinose e inquietanti, sempre con i suoi purosangue, per lui docili ed espressivi come fossero umani; ma lui si misura da tempo anche con altri artisti e altri linguaggi. Forse rimarrà deluso chi ricorda di aver amato allora la novità del linguaggio, spesso ruvido e volutamente «bestiale» delle prime performance. Ora attraverso quella stessa materia vivente si sviluppa senza mediazioni la ricerca di una personale, e ben originale, spiritualità.

Era noto un grande progetto che avrebbero dovuto realizzare assieme lui e Pina Bausch; il suo più recente successo è stato Il centauro e l’animale realizzato a Chaillot con il danzatore butoh giapponese Ko Murobushi. Quest’anno al Theatre de Rond Point ha presentato uno spettacolo intenso e perturbante in cui l’artista interloquisce in scena, oltre che con i suoi animali (sono quattro i prodigiosi cavalli, e c’è anche un asino), con il danzatore flamenco Andrès Marin, uno dei più raffinati e famosi al mondo. Impegnativo, ma programmatico, è pure il titolo, che del resto dà la chiave di lettura di questa epifania laica di animalità corporea e di intima elaborazione spirituale: Golgota (dal 17 al 20 ottobre a Torinodanza; durante le feste di capodanno alla bolognese Arena del sole).

Ma la cristologia del titolo non ha implicazioni religiose, o devozionali in senso stretto, anche se l’originale «accompagnamento» musicale (in realtà componente strutturale della drammaturgia) sono i mottetti per voce di controtenore, corno e liuto di Tomas Luis de Victoria, gesuita compositore vissuto tra cinque e seicento, spagnolo di nascita ma educato a Roma dove ebbe come maestro Pierluigi da Palestrina di cui recepì ampiamente l’influenza. Cantante e musicisti, in costumi d’epoca e gorgiera, danno quasi la scansione a quel confronto tra il danzatore, che su tavole di legno batte i tacchi del flamenco, e l’attore/domatore che sulla terra nera incalza i cavalli così come la pelle degli spettatori.

Un confronto che si fa a tratti vero duello, per poi riunire plasticamente i due artisti quasi fossero solo lo sdoppiamento di atri e ventricoli di un unico cuore, i cui battiti risuonano con voce e frequenza diverse. Uno sdoppiamento tutto rigorosamente e volutamente maschile, ma che va oltre la sessualità e oltre ogni eros. Anche se il termostato di quella passione «divina» sembra schizzare di continuo all’insù.

E ogni volta, grazie ai cavalli, che si inalberano, si prostrano o si rotolano a terra seguendo solo una «innata» sapienza (che in realtà occhi e respiro di Bartabas governano), oppure all’uso di materiali poveri che basta incrociare per ottenerne simbologie assolute, o ancora al silenzio che a tratti «risuona» scoprendo spessore e ricchezza inaspettati, il miracolo e il mistero di questo Golgota si compiono. Bartabas, e il suo doppio flamenco, non temono di apparire semplicisti. Tanto tormento, e fatica, e geometrica precisione, si vanno alla fine a comporre un una tempestosa «crocifissione».

Ma lo spettatore nel frattempo si è ben emancipato dai richiami diretti o dalle nozioni da catechismo. Attraverso la reincarnazione che proprio i cavalli hanno mostrato e fatto toccare con l’occhio e il respiro, quel percorso che pareva penitenziale si fa umano e carnale, per ogni creatura umana. Che ha dentro di sé il suo privato Golgota, che ogni volta deve essere in grado di raggiungere.
La grande rappresentazione equestre si è fatta umana: il cavaliere e il danzatore riprendono il proprio contegno, la magìa dei cavalli, della danza e della musica divengono bagaglio e antidoto per ogni prossima ascesa agli inferi. O per una salutare galoppata