È bene evitare innanzitutto di cadere nella caricatura, scriveva Gogol nell’avvertenza per coloro che desiderano recitare come si deve Il revisore. Robert Sturua si ferma un passo prima, sulla soglia del grottesco che impronta lo spettacolo presentato al teatro Argentina. Del resto, questa sua è dichiaratamente «una versione» e lo spettatore ne ha subito la misura all’apparire delle figurette che vengono quasi proiettate da una forza esterna all’interno della grande corte metafisica dalle luci cangianti che rende astratta l’ambientazione della commedia, dominata visivamente da un enorme lampadario che scende e risale. Vestono abiti formali, redingote e mantelli neri, però resi bizzarri da vistosi ricami e sembrano piuttosto marionette.

Del vecchio regista georgiano e della sua compagnia Rustaveli pochi forse ricordano ancora un divertentissimo Cerchio di gesso del Caucaso di tanti anni fa che aveva come protagonista, nei panni del giudice Azdak, un memorabile Ramaz Chkhikvadze. Oggi Sturua dirige la compagnia che fa capo ad Aleksandr Kaljagin, «artista del popolo» della Federazione russa che ha attraversato tutte le stagioni del teatro sovietico e post senza tralasciare anche parecchie frequentazioni cinematografiche, il Michalkov di Partitura incompiuta per pianola meccanica ad esempio. Certo l’affidare il ruolo di Chlestakov, lo spaesato giovanotto ventenne protagonista della commedia di Gogol, a un attore ultrasettantenne, portato in giro sul palcoscenico su una sedia a rotelle, qualcosa inevitabilmente produce nella sua percezione. Metti soltanto la poco convinta seduzione delle donne della famiglia del sindaco a cui è spinto. La madre cerca di buttargli fra le braccia la figlia, ma quando lui per togliersi dall’impiccio le fa intendere una diversa preferenza lei non ha un momento di esitazione e comincia a spogliarsi.

La versione di Sturua fa del Revisore un vaudeville, affidato ai lazzi piuttosto che alle musiche che comunque accompagnano eclettiche tutto lo spettacolo, da Schubert e Astor Piazzolla fino al Va pensiero verdiano che nel precipitoso finale introduce la festa di un fidanzamento che non avrà luogo. Lui, Chlestakov, si è dato. Tutti aspettano il suo arrivo ma al suo posto torna indietro la sola sedia a rotelle con la borsa riempita delle mazzette di cui si erano tassati per corromperlo. E quando appare è per convocarli a una resa dei conti meno agra di quella immaginata da Gogol.