Nella moltitudine di lavori per il piccolo e grande schermo che in questi dieci anni hanno cercato di documentare o riflettere sul triplice disastro avvenuto l’undici marzo del 2011 nel nord del Giappone, ce ne sono alcuni che, tanto per qualità quanto per originalità, hanno, con il passar degli anni, guadagnato forza e pregnanza. Uno dei lungometraggi che più ha saputo catturare e simboleggiare l’aspetto della reazione politica al terremoto ed al disastro nucleare è Shin Gojira (Shin Godzilla) diretto da Hideaki Anno ed uscito nel 2016.
Shin Gojira è prima di tutto un film di kaiju che continua la saga dedicata al lucertolone atomico uscito dall’immaginazione di Ishiro Honda e Eiji Tsuburaya nel 1954, ma è in maniera molto diretta anche un atto d’accusa ed un’allegoria sul girare a vuoto della burocrazia giapponese quando il paese viene colpito da disastri, naturali o causati dall’uomo. Così come il Godzilla originale era un’amara riflessione sulle due bombe sganciate a Hiroshima e Nagasaki, il dolore dei sopravvissuti e l’era atomica che ne seguì, Shin Gojira, con tutte le differenze del caso, traccia un percorso parallelo nei confronti del triplice disastro del marzo 2011. ù

LA CREATURA MOSTRUOSA che emerge dalle acque dell’oceano all’inizio del film viene rappresentata come una sorta di volontà primigenia, priva di personalità, neutra, de-antropomorfizzata se così si può dire, che non sembra aver nessun altro scopo se non quello di esistere ed evolversi. Se le varie incarnazioni e forme che Godzilla assume durante il film sono fra le più riuscite di tutto il franchise, e quindi uno dei punti di forza del lungometraggio, l’elemento distintivo di Shin Gojira è il suo tono quasi sarcastico con il quale descrive e mette in scena la ridicola impreparazione della classe politica giapponese e della macchina burocratica che la avviluppa e finisce per soffocarla.
Il film è popolato di miriadi di personaggi in giacca e cravatta che parlano di regole, leggi, numeri, e autorizzazioni in interminabili riunioni dove, tanto si parla e si discute per non decidere alla fine niente di niente. Soprattutto quando (ri)visto oggi ad una certa distanza «storica» dal triplice disastro, ma anche in concomitanza con l’emergenza planetaria causata dalla pandemia, il lungometraggio diretto da Anno si rivela come una feroce decostruzione e critica del modo in cui il governo Giapponese, e altri in tutto il globo, reagisce ai disastri naturali ed a situazioni eccezionali.

ALLO STESSO TEMPO però, l’arcipelago è un territorio colpito regolarmente da disastri naturali come terremoti, tsunami e tifoni, e considerando che c’è nella popolazione giapponese quindi una certa preparazione a questi inaspettati eventi distruttivi, la posizione di Anno e collaboratori può essere letta anche come una critica con venature molto più pessimiste e nichiliste. Il dubbio che il film instilla nello spettatore è che sia proprio il sistema democratico, il migliore possibile in cui vivere, a portare al suo interno una debolezza verso eventi eccezionali, un’incapacità connaturata al sistema politico contemporaneo di gestire delle situazioni fuori dall’ordinario perché troppo abituata a funzionare ed alimentarsi in condizioni «normali».
L’impasse finale, dove tutto resta immobile e congelato e non si risolve in pratica nulla, resta una delle immagini più affascinanti e destabilizzanti partorite dal cinema giapponese degli ultimi anni.

matteo.boscarol@gmail.com