Hawks, Lang, Siegel, Tashlin, Fuller, Jerry Lewis…amato/odiato a seconda dei momenti, il cinema americano è parte del Dna dell’opera di Godard, prima nei suoi testi critici e poi intessuto nella filigrana dei suoi film, anche quando ne prendeva le distanze. Il passaggio dall’entusiasmo giovanile alla disillusione è ben illustrato nella cronaca che Sophie Clouzot fece del tour promozionale per l’uscita Usa di La chinoise, organizzato nel 1968 da Richard Leacock e D.H. Pennebaker, che distribuivano il film. Godard aveva accettato di apparire in venti università degli States, portando con sé una copia in 35mm. Le cose iniziarono ad andare male a partire dalla prima tappa, Los Angeles, dove non era mai stato prima e gli studenti lo aspettavano con trepidazione: «Sono perfettamente serio quando dico che, per me e per un numero crescente di giovani con la testa sul collo, Godard è importante quanto Sartre, Hesse e Dostoevskij» scrisse al tempo Gene Youngblood sul «Los Angeles Free Press». Ma, nel racconto di Clouzot (che fungeva da traduttrice), Godard si dimostrava annoiato dalle domande cinefile degli studenti e una tavola rotonda sul tema di Hollywood, organizzata dalla University of Southern California, presenti, insieme a Godard, King Vidor, Roger Corman, Peter Bogdanovich e Samuel Fuller si concluse nel disinteresse reciproco tra il regista francese e gli americani il cui lavoro amava tanto.

LE COSE presero un verso migliore durante la visita a Berkeley, dove il corpo studentesco era più politicizzato e di conseguenza lo fu anche la discussione. Ma dopo tappe di un giorno in Texas e Kansas, Godard trovò una scusa per scappare in Francia, tagliando il resto del tour, e riapparì solo alla New York University, in occasione della première. «Non lavorerò mai a Hollywood, non importa quanto mi paghino» commentò rifiutando di leggere la sceneggiatura di un western che gli aveva offerto uno studio. La possibilità di un film americano di Godard si sfiorò solo anni dopo, nel 1980, quando Francis Coppola, che aveva acquistato i General Studios, nel cuore di LA lo invitò a fare parte della factory creativa che stava allestendo, insieme – tra gli altri – a Wenders, Herzog, Syberberg, Gene Kelly e Michael Powell. Le tracce del soggiorno godardiano alla Zoetrope si trovano negli estratti di sceneggiatura che Godard incluse in Jean-Luc Godard: Due o tre cose che so di me – una storia che partiva a Las Vegas, metà poliziesca metà film su un film, con Robert De Niro e Diane Keaton; e in un movimento di macchina (realizzato utilizzando il dolly di One From The Heart, il film che avrebbe dettato la bancarotta della Zoetrope) in Passion, che la Zoetrope distribuì in Usa, come Si salvi chi può (la vita). Il film americano di Godard rimase dunque un miraggio, come il sogno coppoliano di uno studio dentro ma fuori da Hollywood.