Servono 277 milioni di dollari (242 milioni di euro) per far fronte ai bisogni dei palestinesi in Siria, Giordania e Libano. È questa la cifra che l’Unrwa si auspica di raccogliere con l’Appello Siria (Syria Regional Crisis Emergency Appeal), lanciato da Beirut all’inizio di febbraio.

L’appello è parte della più consistente richiesta di 1,2 miliardi di dollari per il 2019 da parte dell’agenzia delle Nazioni unite che da settant’anni si occupa di fornire servizi e aiuti umanitari ai rifugiati palestinesi in Medio Oriente: 5,4 milioni di persone.

In Siria le condizioni di vita dei palestinesi, come quelle dei siriani, sono drammaticamente cambiate negli ultimi otto anni di guerra, ha spiegato Michael-Ebye Amanya, vicedirettore Unrwa in Siria: «122mila palestinesi hanno lasciato il paese e dei 438mila rimasti il 95 per cento dipende dall’Unrwa, cioè vive al di sotto della soglia di povertà, mentre prima del 2011 erano soltanto il sei per cento».

Il trenta per cento dei palestinesi siriani non ha più una casa e il sessanta per cento è sfollato. Le strutture dell’Unrwa (scuole, cliniche, uffici) sono state pesantemente danneggiate dai combattimenti, in particolare nel campo di Yarmouk, a sud di Damasco, teatro di violenti scontri dal 2012.

Caduto sotto il controllo di Daesh nel 2015, è rimasto per anni sotto un assedio che ha ridotto gli abitanti letteralmente alla fame, fino allo scorso maggio quando il governo siriano ha annunciato di averne ripreso il controllo. Sono quasi completamente distrutti anche i campi di Dera’a (10mila-17mila abitanti), vicino al confine con la Giordania, e di Ei nel Tal (oltre 6mila abitanti), a nord-est di Aleppo.

«Oggi a Yarmouk non vive nessuno, ma prima del 2011 vi abitavano circa 160mila persone», ha detto Michael-Ebye Amanya. «Lì abbiamo 23 strutture, di cui 18 sono state danneggiate significativamente e quasi tutte dovranno essere ricostruite. Al momento stimiamo che servano venti milioni di dollari, ma i nostri tecnici non hanno potuto ancora accedere a molte strutture a causa della presenza di ordigni. Penso ci vorranno più fondi».

La questione fondi per l’Unrwa, da tempo in difficoltà finanziaria, si è riproposta con forza lo scorso settembre, quando gli Stati uniti hanno annunciato l’interruzione dei finanziamenti all’agenzia Onu, mettendo fine a una politica di sostegno che finora era stata confermata da tutti i presidenti statunitensi, sia democratici sia repubblicani.

Il taglio ha creato un buco di 446 milioni di dollari (390 milioni di euro) per il 2018. «È stato un anno difficile – ha detto Claudio Cordone, direttore dell’Unrwa per il Libano – ma siamo riusciti a colmare la perdita grazie al contributo di altri paesi». L’agenzia ha però dovuto operare tagli al personale e ai programmi, come nella Striscia di Gaza, dove 118 persone hanno perso il lavoro.

Per il 2019 l’Unrwa chiede la stessa cifra raccolta l’anno scorso: 1,2 miliardi di dollari, di cui 277 milioni per la crisi siriana, cioè per poter continuare a fornire servizi essenziali come istruzione, sanità, assistenza e servizi sociali, aiuti umanitari di emergenza e un programma di cash assistance (contributo in denaro) per 418mila palestinesi in Siria, oltre che per altri 18.500 fuggiti Giordania e 28.800 in Libano, dove spesso vivono in condizioni precarie a causa del loro incerto status legale e della mancanza di meccanismi di protezione sociale.

«La crisi finanziaria non è finita», ha concluso Cordone, aggiungendo che neanche il mandato dell’Unrwa si è esaurito. «Finché non ci sarà una soluzione al conflitto israelo-palestinese, ci saranno milioni di persone che avranno bisogno della nostra assistenza. Questo mandato ci è stato affidato dalle Nazioni unite ed è un investimento sul futuro delle persone e sulla stabilità».