L’intervento occidentale in Siria è imminente. Probabilmente entro domani, giovedì. È destinato a durare poco, tre giorni, secondo fonti statunitensi. L’intenzione è di dare «una lezione» a Assad, secondo i termini di Dennis Ross, che fino a fine 2011 è stato consigliere della Casa Bianca per il Medio Oriente, «piuttosto che per mettere fine alla guerra civile» in corso in Siria. Gli oppositori ad Assad sono stati informati dell’imminenza dell’attacco da diplomatici occidentali. Ieri, le dichiarazioni a Washington, Londra e Parigi si sono fatte sempre più bellicose. Chuck Hagel, segretario alla difesa Usa, ha affermato che le forze armate «sono pronte» per l’azione militare, se Obama dà il via libera. La Gran Bretagna ha dispiegato altri aerei da guerra a Cipro e il portavoce di David Cameron ha precisato che Londra sta preparando i piani per una possibile azione militare. Cameron ha convocato d’urgenza il parlamento, che voterà giovedì sull’intervento. La prevista riunione tra Usa e Russia, in vista di una conferenza internazionale sulla Siria, è stata annullata. Gli Usa hanno chiesto alla Grecia di utilizzare le basi, nel Peloponneso e a Creta, Atene ha risposto positivamente. La Turchia ha ribadito di essere pronta ad intervenire nella coalition of the willings. Per Kevin Rudd, ministro degli esteri dell’Australia, che dal 1° settembre avrà la presidenza a rotazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, «la comunità internazionale non può girare la testa dall’altra parte». François Hollande, in un discorso agli ambasciatori, ha affermato che «il massacro chimico di Damasco non puo’ restare senza risposta, la Francia è pronta a punire chi ha preso la decisione infame di gasare la popolazione». È «imminente» la partenza della portaerei Charles de Gaulle e oggi ci sarà all’Eliseo un consiglio difesa. La Russia ha evacuato ieri 1800 cittadini russi e dei paesi Cei che ancora risiedevano in Siria. A Washington, Susan Rice, consigliera di Obama per la sicurezza nazionale ha ricevuto una delegazione israeliana, guidata dal generale Yaakov Amidror, consigliere per la sicurezza del premie Benjamin Netanyahu, che ieri ha evocato una «risposta violenta» di Tel Aviv in caso di attacco siriano. E ad Amman si è conclusa ieri l riunione dei vertici militari di dieci paesi sotto l’egida Usa.
La coalizione si prepara all’intervento senza consultare il Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove Russia e Cina hanno già per tre volte posto il veto su decisioni riguardanti la Siria, dall’inizio della crisi due anni fa. Il rischio di un’esplosione in tutta la regione è anche evocato da molti esperti del Medio Oriente. La Russia ha invitato ancora alla «prudenza» e al «preciso rispetto del diritto internazionale». Pechino, attraverso l’agenzia Xinua, accusa l’occidente di far ricorso alla «retorica»: il «balletto delle recenti consultazioni tra Washington e i suoi alleati indica che è già stata messa la freccia all’arco e che tireranno senza mandato Onu».
Politici ed esperti cercano di giustificare l’intervento. «È possibile rispondere ad uso di armi chimiche senza unità del Consiglio di sicurezza? – si è chiesto il ministro degli esteri britannico William Hague – direi di sì, se no sarebbe impossibile rispondere a questo tipo di atrocità e questo non sarebbe accettabile». Mario Bettati, giurista all’università Paris II e teorico del diritto di ingerenza, sostiene che evitando di consultare il Consiglio di sicurezza Onu «si lascia il terreno della legalità per quello della legittimità». Già invocata per il Kosovo nel ’99. Nel caso siriano, la Lega araba avrebbe lo stesso ruolo della Nato per il Kosovo, di appoggio all’operazione Usa-Gran Bretagna-Francia. Oltre alla convenzione internazionale del ’93 che mette al bando le armi chimiche, viene anche evocata la risoluzione Onu del 2005, sulla responsabilità a «proteggere le popolazioni in caso di crimini di guerra». Altra possibile giustificazione è cercata nell’articolo 51 della Carta dell’Onu, che stabilisce il «diritto naturale di legittima difesa, individuale o collettiva», prima che intervenga una risoluzione Onu. Turchia e Israele potrebbero invocare l’articolo 51 per i fatti avvenuti alle rispettive frontiere con la Siria.