PROG ROCK
Non fermate
l’astronave

Nulla può fermare la vecchia astronave rattoppata degli Hawkwind, pionieri di un prog space rock talmente archeologico da essere tornato di attualità. Capitan Brock siede ancora alla cloche di comando, l’ultimo viaggio si intitola The Future Never Waits (Cherry Red), e il mare magnum di oltre dieci minuti di tranquilla psichedelia che scalda i motori è già l’ennesima ottima partenza. Poi il tutto prende il volo. Come da mezzo secolo e oltre. Già note per la diffusione in tempo reale, sono diventate un cd le Lockdown Sessions (Sony) di Roger Waters: il caratterino dell’uomo è quel che è, i sei brani dal «suo» catalogo floydiano risplendono come perle prog molto dark: una Comfortably Numb così non era prevedibile. Infine ennesima aggiunta al catalogo Audiovaults dai concerti storici dei Pink Floyd: stavolta potete gustarvi, in più che dignitoso restauro, il 15 novembre 1972 alla Sporthalle di Böblingen, Eclipse. La data significa che The Dark Side of the Moon è eseguito per intero, ma ancora in via di messa a fuoco. Doppio cd, nel secondo una Echoes da 26 minuti. (Guido Festinese)

ALT FOLK
Sulle strade
d’Australia

Folk che sfocia nel country o nel pop in questi tre dischi. Partiamo con un titolo che fa presagire un «live» in un qualche locale disperso lungo le strade dell’America rurale: At the Roadhouse (Nettwerk/Bertus) dei Paper Kites. Il Roadhouse di cui si parla è sì un locale, ma in una cittadina a nord-est di Melbourne dove la band australiana ha stabilito il quartier generale e dove hanno realizzato i pezzi del loro nuovo album: 15 brani dall’anima country, comunque di chiaro stampo Usa. Bello. Da Melbourne arriva anche Hayden Calnin che con A Turning of the Tide (Nettwerk/Bertus) ci porta invece nel mondo dell’alt folk che flirta con elettronica e arrangiamenti orchestrali e lo avvicina a uno dei paladini del genere, Bon Iver… anche troppo. Tornano gli inglesi Stornoway, a otto anni dall’ultimo lavoro e dal successivo scioglimento, con l’album Dig the Mountain! (Cooking Vinyl/Egea/The Orchard). Alt folk tipicamente british che però lascia spazio anche a sapori calypso e surf (vedi ad esempio Bag in the Wind) e con quelle melodie che guardano al pop, come da prassi dalle loro parti. Divertente. (Roberto Peciola)

TRIBUTI
Malinconico
lirismo

C’è modo e modo di omaggiare la grande storia della nuova musica latinoamericana: il pianista venezuelano Edward Simon con Femeninas. Songs of Latin American Women (SMP Artistshare), in quartetto con la splendida voce di Magos Herrera, traspone in jazz i brani di Violeta Parra (Cile), Marta Valdés (Cuba), Rosa Passos e Joyce Moreno (Brasile) con esiti singolari nel rimarcare il malinconico lirismo quale tratto comune alle coraggiose folksinger di un intero continente. Per contro, jazzista da Sao Paolo, il Ryan Keberle’s Collectiv do Brasil in Considerando (Alternate Side) recupera la solarità carioca del cantautore ottantenne Edu Lobo, affiancandolo, nel repertorio, a original e Beatles. Infine anche l’italiano Aldo Di Caterino in Amorè (Abeat) rende, sui generis, omaggio al Sudamerica, selezionando Ariel Ramirez Pasqual ed Hermeto Pascoal, fra i nove brani del disco; il flautista con Nando Di Modugno (chitarra) e altri quattro ospiti si rivela «latin» soprattutto a contatto della fisarmonica di Vincenzo Abbracciante e del canto di Paola Armesano, per un album godibilissimo. (Guido Michelone)

BLUES
Vado
al massimo

Temperature bollenti nel blues. Un campione in materia è Coco Montoya che inanella l’ennesimo passaggio di una carriera sempre al massimo. Parliamo di Writing on the Wall (Alligator), dove lo troviamo fedele a elettricità e alto volume, senza perdere d’occhio la melodia. Alla storia probabilmente passeranno la tosta Save it for the Next Fool, l’allegra Late Last Night e lo slow intriso di vicende personali The Three Kings and Me. Frizzante è anche Nigel Mack con Back in Style (Autoprodotto], dove il canadese innamorato di Chicago manifesta la sua devozione con dodici brani che pescano a piene mani dalla Windy City. Non siamo di certo davanti a un album sperimentale, ma meritano Damn You Mr Bluesman e Jalapeño Peppers. Rivolgiamo le attenzioni finali a Detroit, Michigan, da dove arrivano Doug Deming & The Jewel Tones. Il sestetto capitanato dal cantante e chitarrista implementa anche due sassofonisti, ad ampliare così lo spettro sonoro di Groovin’ at Groove Now (Endless Blues Records): danzereccio e quasi rock’n’roll. Suonate East Side Hop. (Gianluca Diana)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

WORLD MUSIC
Un ammirevole
vagabondo

MIKE COOPER
BLACK FLAMINGO (Room40)

***** Il vagabondare artistico e umano di Cooper è da ammirare. Se vi è punto distintivo che lo identifica è quello di essere un viaggiatore nel senso più nobile. Quanto incontra, diviene il magma da cui creare. Come farlo, lo esplicano al meglio le sue parole: collaborazione, improvvisazione, innovazione. Queste 15 tracce e i vari ospiti lo dimostrano. Ascoltiamo un infinito spostamento tra le culture sonore del mondo. Metterle assieme, renderle materia artistica e farlo con sapienza e buon gusto è dono di pochi. (gianluca diana)

 

 

 

JAZZ ITALIA
La signora
del canto

MARIA PIA DE VITO
THIS WOMAN’S WORK (Parco della Musica)

**** Rieccola, la gran signora del canto che costruisce i suoi lavori con un impasto di memoria storica, bruciante contemporaneità, riflessione e istinto. Dopo la splendida avventura sui «dreamers» degli anni Settanta, ora, sulla scorta di letture concatenate, ecco dieci palpitanti, a volte fumiganti tracce (Disposession sembra un lacerto degli Area!) sulle strategie di sopravvivenza delle donne, con un gruppo giovane e reattivo. Kate Bush, Costello, Ornette Coleman, Tony Williams alcuni dei mattoni fondanti: ma è il tutto assieme che convince, e infine entusiasma. (guido festinese)

 

 

CONTEMPORANEA
Novecento
censurato

EBONY BAND
ACHTUNG, AUFNAHME! (Channel Classics/Oh Music)

**** Dal 2001 il gruppo di Werner Herbers (scomparso il 5 giugno scorso a 83 anni) fa conoscere il Novecento a lungo censurato: qui tre operette sperimentali, la title-track, e i potpourri di Komodien in Europa e Die Vertauschlen Manuskripte di altrettanti compositori mitteleuropei – Wilhelm Grosz, Walter Goehr, Matyas Seiber – perseguitati dal nazismo per religione o politica. Ciò che accomuna i tre lavori databili ai primi anni Trenta è l’attualità dei temi svolti, a stretto contatto con una musica in grado di coniugare il jazz alla dodecafonia, il dotto al popolare. (guido michelone)

 

 

POST PUNK
Dedicato
a Nora

PUBLIC IMAGE LTD.
END OF WORLD (Pil Official Ltd/Cargo Records)

*** Torna in pista uno degli artisti più provocatori della storia del rock, John Lydon, con la sua creatura post Pistols, i PiL (in formazione nuova), per un album, l’undicesimo, che musicalmente più o meno resta nel solco dei precedenti, un mix di funk e post punk, con basso e batteria a generare la base, il synth a unire il tutto e la sua inconfondibile voce a declamare testi spesso poco condivisibili. Tre però i brani che si elevano, l’apertura à la Killing Joke Penge, la notevole Strange e la conclusiva Hawaii, dedicata a Nora Forster, compagna di una vita, scomparsa lo scorso aprile. (roberto peciola)

 

 

CANZONE D’AUTORE
Riannodare
i fili perduti

ELISA RIDOLFI
CURAMI L’ANIMA (Squilibri)

**** Chi ha a lungo frequentato una musica popolare ha ricevuto in cambio della fatica nel padroneggiare tecniche non convenzionali, una palestra d’affinamento che torna assai utile anche in altri campi. Ad esempio nella canzone d’autore, che di echi e rimandi al mondo folk spesso anche inconsci vive, riannodando fili perduti. La voce argentina e piena di Elisa Ridolfi ha primeggiato nel fado, ora è al servizio di suoi testi pensati e scintillanti, con l’aiuto di Tony Canto, e ospiti del calibro di Jacques Morelenbaum e Eugenio Finardi. (guido festinese)

 

 

BATTISTA
LA FOGNA DEL COMPORTAMENTO (Orangle/ Universal)
*** Punk distopico lo chiameremmo, giusto per essere in linea con le centinaia di film uguali a se stessi che sfornano Netflix e affini per abituarci a quello che sarà. Un mondo di merda… E Battista l’ha già capito da un pezzo. Dieci brani politicamente scorretti, a tratti pseudomisogini. Uno dei flash più annichilenti? «Ci ameremo come tossici col crack, marciremo come nelle Rsa». Geniale e senza compromessi. (viola de soto)

SERGIO CARLINO
MY ONE AND ONLY LOVE (Caligola Records)
*** Sembra davvero un crooner di tanti anni fa, quando Frank Sinatra (dal quale il disco trae ispirazione) furoreggiava tra le teenager. Qui, però, in piano jazz trio (Tonolo, Santaniello, Pache) più il sax di Alfonso Deidda in Don’t Take Your Love from Me restano solo atmosfere intimiste con ballad arcinote (My Foolish Heart) e altri otto pezzi, forse meno celebrati (The Nearness of You), ma comunque adattissimi (Come Rain or Come Shine) a ricreare un jazz tranquillo, melanconico, sommesso. (guido michelone)

DEAD NEVER SLEEP
ORIGINS OF EVIL (Black Claw)
*** Siamo stati indecisi se recensire o meno questo disco. Sette brani per 19 minuti, quindi pezzi veloci, diretti, belli «tosti», una miscela che va dal trash metal all’hardcore punk passando per ricordi gothic. Niente di nuovo, o meglio, niente di nuovo se presi uno per uno i generi di cui sopra, ma questo quartetto losangelino sa come mettere assieme il tutto e alla fine dei giochi risulta interessante. Per cui quell’indecisione iniziale alla fine è scomparsa. (roberto peciola)

GREAT FALLS
OBJECTS WITHOUT PAIN (Neurot Recordings)
*** Torna la band di Seattle che presenta un cambio di formazione con l’innesto del batterista Nickolis Parks. L’esito è che il noise già potentissimo, si arricchisce grazie al rinnovo ritmico. L’esistenzialismo con il quale si son fatti conoscere non scema, continuando ad essere comburente e combustibile del tutto. Ci piacciono Spill into the Aisle per il suo carattere quasi cinematografico e l’epica chiusura di Thrown Against the Waves, quasi 13 minuti di pura iconoclastia. (gianluca diana)

HACKOUT!
SAD MUSIC FOR HAPPY ELEVATORS (Caligola)
**** Musica urgente e necessaria, quella degli Hackout!, ossia Manuel Callumi al sax contralto, Luca Zennaro alla chitarra, Riccardo Cocetti alla batteria: formazione dunque a triangolo e senza basso. Una sei corde che accarezza in arpeggio e ruggisce nelle uscite, con ben precisi ricordi di art rock alla Robert Fripp accostati al jazz radicale d’oggi, un’ancia memore di certe discese ardite e risalite alla Tim Berne, una batteria policroma: intensi i tempi medi e lenti, vedi ad esempio But Is not This Day, giustamente aggressivi quelli veloci. Un bel viaggio. (guido festinese)

GUILLAUME ROUSSEL
LE TROIS MOSQUETAIRES: D’ARTAGNAN (Milan/ Sony)
**** Il mito di D’Artagnan è stato cinematograficamente trattato tante volte e musicalmente pure. In questo caso a musicare le scene del film Les Trois Mosquetaires è stato chiamato la stella nascente Guillaume Roussel, che qui si rifà a modelli americani, usando musica di sistema, di movimento, di sintesi con tanto d’elettronica. E’ una scrittura veloce, interessante, intrigante. Futuribile presente. (marco ranaldi)