COFANETTI
Il santuario
del blues rock

Paradossi della contemporaneità: mentre diminuisce l’attenzione riservata alla «lunga durata» in musica, e dunque o ascolti frettolosi di pochi secondi, o le note usate come tappezzeria sonora di continuo sottofondo, cresce parallelamente un mercato di nicchia di cofanetti impegnativi che richiedono ore di ascolti attenti. Ad esempio, The Sanctuary Years (Bmg), dedicato a Gary Moore, uno dei chitarristi più iconici (e meno ricordati: insieme a Rory Gallagher, irlandese come lui) della scena rock blues mondiale. Voce possente e venata di soul, tocco sulle corde altrettanto micidiale, la finezza spesso nascosta in un fraseggio avvampante grande e grosso. Qui troverete il Gary Moore che torna a accendere fiammate blues, tra il 1999 di A Different Beat e il 2004 del trionfale The Power of the Blues, titolo che spiega tutto. Nel mezzo Back to the Blues, 2001, e Scars, un vertiginoso power trio molto anni Sessanta, hendrixiano e pieno di sana improvvisazione. A completare un blue ray di Back to the Blues con interviste selezionate. Prendetevi tempo, e gustatevi la riscoperta. (Guido Festinese)

ALTERNATIVE
Presenza
ingombrante

Jim Jarmusch e Carter Logan collaborano da anni per le colonne sonore dei film del regista statunitense ma insieme danno anche vita ad un progetto musicale che prende il nome di Sqürl, e ora pubblicano un nuovo album, Silver Haze (Sacred Bones/Goodfellas), prodotto da Randall Dunn, uno che ha lavorato con gente come Sunn O))), Boris, Marissa Nadler e altri. E le sonorità cupe e pesanti sono il tratto distintivo del disco, che vede anche la presenza di Marc Ribot e Charlotte Gainsbourg. Suoni cui si avvicinano i Silver Moth, i quali però, per la presenza «ingombrante» di un pezzo da novanta come Stuart Braithwaite dei Mogwai, si richiamano al post rock e, per le melodie e certe scelte ritmiche al trip hop. Un bell’esordio con Black Bay (Bella Union/Pias/ Self). Torniamo negli States con gli Wizard Tattoo, band doom rock di Indianapolis che fa capo al polistrumentista Bram the Bard e che debutta con Fables of the Damned (Autoprod.). Il disco ha un afflato più propriamente heavy, con reminiscenze che vanno dai Sub Rosa ai Ministry fino agli Smashing Pumpkins. (Roberto Peciola)

BLUES
Il testamento
di Jack

Da Memphis arriva qualcosa capace di scrollare le anime con veemenza. Parliamo di Elder Jack Ward, cantante gospel scomparso lo scorso 11 aprile. Nato a Itta Bena, Mississippi, si trasferì giovanissimo nella città del Tennesse dove iniziò la carriera con un gruppo chiamato Christian Harmonizers. Quello che ascoltiamo in The Storm, fuori con la Bible & Tire Recording Co., sussidiaria della Fat Possum, è il suo epitaffio. Dieci brani con le voci dei Ward Singers e il suono dei Sacred Soul Sound Section a supporto del leader. Che vola altissimo con la coralità di When This Life Is Over e il feeling di Be Ready di cui impressiona la somiglianza con Willie King. Sorprendente è Lady Adrena e il suo Recipe for the Blues (Sweet Success). La poderosa ed energica cantante di Jackson, Mississippi, pubblica sei brani carichi di adrenalina, tra cui si segnalano Blues Chose Me e Traveling Woman. Chiusura affidata a Grace Theisen, cantatrice e chitarrista di Kalamazoo, Michigan, e al suo Honey’s Dripping (Autoprod.), doppio singolo morbido e avvolgente. (Gianluca Diana)

TRIBUTI
La linfa
che ispira

Ciò che accomuna i tre omaggi è il fatto che la musica suonata risulta quella di tre jazzisti, dai quali traggono nuova linfa ispiratrice altrettanti nuovi jazzmen di svariate provenienze: l’italiano Luciano Troja con To New Life (Almendra Music) offre un generoso tributo all’arte di Earl Zindars (1927-2005) pianista e compositore amico di Bill Evans, a sua volta in grado di eseguirne il sound romantico, che ora il messinese in piano solo restituisce cogliendo assai bene la dialettica di un pensiero musicale libero, al contempo semplice e complesso. Il chicagoano Jamie Breiwick per Awake Volume 2 (Shifting Paradigm) appronta un secondo album con l’omaggio a Don Cherry (1936-1995), genio sottovalutato di un free proteso al nuovo, anche in direzione folk world, come viene qui evidenziato. Infine il sax tenore del canadese Fraser MacPherson (1928-1993) in From the Pen of… (Cellar 20) è protagonista indiretto, nel senso che sono undici gruppi diversi a suonare altrettanti suoi brani, aggiornando un repertorio swingante, ideale per un approccio mainstream. (Guido Michelone)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

ELETTRONICA
Alle Bermuda
e ritorno

CHOCOLATE HILLS
YARNS FROM THE CHOCOLATE TRIANGLE (Orbscure/ Cooking Vinyl/Egea/The Orchard)

**** Chocolate Hills è il nuovo progetto del deus ex machina degli Orb Alex Paterson in collaborazione con Paul Conboy, compositore di colonne sonore e membro dei Bomb the Bass. È l’elettronica, chiaramente, a dare la linea sonora di questo lavoro d’esordio del duo, basato su un immaginario viaggio nautico verso il triangolo delle Bermuda e ritorno e nato da lunghe elucubrazioni improvvisate poi riprese e messe a punto per un risultato finale molto intrigante. (roberto peciola)

 

 

JAZZ
Equilibrio
cristallino

RACHEL ECKROTH
ONE (Saudades)

**** Forse più nota alle tastiere per St Vincent, Rufus Wainwright, Chris Botti e altri musicisti pop rock, la 46enne statunitense, dopo The Garden assieme a Danny McCaslin, è qui al suo primo album per piano solo. A parte l’ellingtontoniano Prelude to a Kiss, i restanti 10 brani, a firma propria, denotano un approccio jazzistico prossimo a un post bop ricercatissimo, a sua volta frutto maturo di equilibri cristallini fra scrittura e improvvisazione, dove la vena oltranzista non è immune da un naturale gusto melodico. (guido michelone)

 

 

WORLD
Etiopia chiama
Olanda

FENDIKA & K-SANCHIS
GOJO (121234.Records)

**** Etiopia e Olanda, un connubio antico. Qui rinforzato dall’unione di due band come i Fendika e il Trio Kazanchis, per l’occasione ribattezzato K-Sanchis. Una miscela potente e in tutte le nove canzoni vi è un’energia costante e progressiva, anche nei passaggi più delicati. Estremamente funzionale è il krar suonato in versione elettrica: le sette corde dell’antico strumento sono la spina dorsale del progetto in diversi brani. Tra cui segnaliamo la poderosa Paean, la divertente e psichedelica Restraint e il tono ancestrale di Axum. La commistione con i fiati europei trova il suo apice con Everlasting. (gianluca diana)


POP ROCK

Effetto
nostalgia

STEVE LUKATHER
BRIDGES (The Players Club)

*** Scordatevi nuovi pezzi dai Toto che ogni tanto si riaffacciano dal vivo ma che non entreranno mai più in sala di registrazione, parola di Lukather, ma per i nostalgici della band americana, ecco che il portentoso chitarrista sforna il nono album da solista «pericolosamente» vicino a quelle atmosfere. L’effetto nostalgia è così centrato grazie a otto pezzi in bilico tra rock e pop, con tastierone molto Eighties e un tocco blues che non guasta mai. E a confermare il trend, la presenza di colleghi e compagni nella band: David Paich, Joseph Williams, Simon Phillips e il figlio Trevor. (stefano crippa)

 

FOLK ITALIA
Resistere
all’isolamento

RICCARDO TESI
LA GIUSTA DISTANZA (Visage)

**** Anche per Riccardo Tesi, organettista principe della scena italiana con riconoscimenti internazionali che riempirebbero molti fogli, c’è stato il lockdown: e come per molti musicisti di valore, la resistenza all’isolamento forzato è stato immaginare nuovi brani, da verificare poi con le forze tornate vive e presenti, alla «giusta distanza». Risultato: un trio di base, ventuno musicisti ospiti. E un disco capolavoro dipanato su dodici stazioni di pura musica senza etichette che ha forza poetica, memoria «folk» viva di chi eravamo e di chi è nel mondo e testi da meditare. Chapeau. (guido festinese)

ARE-ANDREA RUGGERI ENSEMBLE
MUSICHE INVISIBILI ((Da Vinci Jazz)
*** Il leader batterista offre un concept album ispirato al romanzo Le città invisibili (1973) di Calvino, traendo da esso suggestioni etniche tradotte in suoni variegati; Ruggeri infatti attinge a svariate culture (jazz in primis ma anche rock, folk, classica) rielaborandole in un progetto sostanzioso che gioca persino sui logogrifi alfabetici (rifacimenti vocali delle parti scritte originarie); un esperimento riuscito, che da lontano (o da vicino) può ricordare la miglior third stream music. (guido michelone)

GODFLESH
PURGE (Avalanche Recordings)
**** Il duo industrial metal si riaffaccia sulle scene con un disco che, anche nel titolo, fa riferimento al loro classico del 1992, Pure. Uno sguardo rivolto verso il passato, quindi, un suono che potremmo definire desueto, con rimandi tanto al doom quanto al nu metal, al grind quanto all’hip hop, con, a loro dire «una serie di nuove nenie e lamenti». Un disco che toglie il respiro, per veri appassionati. A noi piace. (roberto peciola)

OTHER:M:OTHER
METAMORPH (Klanggalerie)
*** Il trio austriaco imperniato su Judith Schwarz alla batteria, Jul Dillier al piano preparato e Arthur Fussy al sintetizzatore, è un combo ardito e inquieto. Partendo da un jazz di marca improvvisativa, virano verso una dance oscura e poliritmica. Lo fanno includendo molte idee che avvicinano un pubblico eterogeneo. Non sempre il risultato è all’altezza. Alla memoria passiamo Kin e Techtonic. (gianluca diana)

PIETRO PANCELLA COLLECTIVE
VOL: 1 MUSIC OF HENDERSON SHORTER COLTRANE (Abeat)
*** Cosa accomuna Wayne Shorter, Joe Henderson, John Coltrane, nella storia del jazz? Il fatto di imbracciare il sax, e quello, decisivo, di aver costruito poetiche ed estetiche a fondamento del jazz moderno. Ecco perché le giovani formazioni tornano a visitarne le composizoni: magari dividendosi il lavoro di arrangiamento, come succede nello scalpitante Collective a nome del bassista Pietro Pancella. Rielaborazioni mai pedisseque, energia e idee in azione. (guido festinese)

PINK FLOYD
LIVE AT THE BRIGHTON DOME 1972 (Audiovaults)
*** Nel profluvio di uscite più o meno autorizzate dal catalogo floydiano segnaliamo questo concerto del 20 gennaio 1972, dipanato su due cd. C’è da rizzare le orecchie: la prima volta in assoluto che i Pink Floyd provano e propongono, in maniera embrionale, la suite di The Dark Side of the Moon. Lacerti strumentali mai ascoltati e poi scartati all’atto finale in studio, un anno dopo, intoppi, una Money che si blocca, il finale col ripiego sulle collaudate Echoes e Atom Heart Mother. Un gran documento, in ogni caso. (guido festinese)

TIN MAN
ARLES (Bureau B/Audioglobe)
**** Dietro il nome d’arte di Tin Man si cela il californiano di origini finlandesi (ma di stanza a Vienna) Johannes Auvinen, musicista noto soprattutto per i suoi lavori in ambito acid house e techno ma che con questo Arles si dedica a una sorta di elettronica di ispirazione ambient caratterizzata anche da ritmiche, sintetiche ovviamente, minimali e loop psichedelici e ipnotici. Una «kosmische excursion», come recitano le note stampa. (roberto peciola)