JAZZ ITALIA
Volontà
di canto

Un tocco limpido, ritmicamente perfetto, che convoglia tutta l’energia in una sorta di «volontà di canto» che emerge anche nei passaggi più concitati. Sono i Two Worlds (Abeat), i due mondi del pianista molisano Antonio Artese, quello classico e quello jazz, in simbiosi poetica pressoché perfetta. Temi che rimangono, con un delizioso retrogusto malinconico, un omaggio a Puccini, e la ritmica di Stefano Battaglia e Alessandro Marzi. Una densa e breve suite in cinque parti per corde, fiati e batteria per Livio Bartolo. In Start from the Scratch (Dodicilune) mette assieme camerismo estremo, influenze romantiche, art rock in opposition spinto, echi stravinskiani. Con la presenza del violino «estremo» di Anais Drago. Una (bella) sorpresa concisa continua. Chinese Sundays (Barly Records) è il lavoro che fa un po’ il punto per idee e suono del sassofonista Stefano Bedetti, dopo il suo rientro da New York: dal suo Organ Trio (Yazan Gresellin e Max Furian) una lezione di bella storicizzazione dell’hard bop, tra ballate struggenti e cavalcate poderose. (Guido Festinese)

ART ROCK
Stili
intricati

Rock, un termine che racchiude una sequela di stili, spesso lontani tra loro, con reminiscenze e influenze tra le più varie. Qui prendiamo in considerazione due dischi emblematici, a cominciare da un album che già al suo interno vede vari stili uniti insieme, stili che vanno dal blues alla psichedelia, dall’hard rock al progressive, insomma un compendio di sonorità Seventies. Il tutto è decisamente ben congeniato dagli statunitensi All Them Witches in Baker’s Dozen (Autoproduzione). Tredici brani, dei quali dodici pubblicati come singoli durante il 2022, uno al mese, e una bonus track. Pezzi ipnotici, spesso molto lunghi, che catturano senza dare scampo all’ascoltatore avvezzo a certi suoni. Bellissimo! Dal Texas degli All Them Witches alla California degli Initial Mass, trio heavy prog con base a Los Angeles che pubblica Alluvium per l’italiana Luminol Records. Un concept sulla ascesa e caduta dell’umanità che, musicalmente parlando, mantiene quelle intricate costruzioni classiche del genere a cui fanno riferimento. Non tutto ci è sembrato a fuoco ma nel complesso un buon album. (Roberto Peciola)

JAZZ
Josh Sinton
per tre

Josh Sinton, classe 1971, operativo a Brooklyn è un jazzista, polistrumentista e compositore, che si definisce «creative musician». Quasi sconosciuto in Italia, meriterebbe maggiori attenzioni per la qualità di una produzione che negli ultimi mesi si manifesta in ben tre album, tra loro differenti, pur accostabili per il comune desiderio di seguire strade poco battute sia dall’attuale musica improvvisata sia dal cosiddetto modern mainstream. C’è anzitutto Four Freedoms con il proprio Predicate Quartet (tromba, violoncello, batteria) dove il free – ben strutturato fra alea e scrittura – si riappropria del discorso politico: le quattro libertà del titolo alludono alla paura e ai condizionamenti a favore del sé e dell’amore. b., per contro è quasi un esercizio di stile, dove la «b» sta per baritono, il sax dal suono grave che Sinton qui adopera in nove brani da lui chiamati «improvvisi composti». Torna a flauto alto e clarinetto basso in Adumbrations anche a nome di Jed Wilson (piano) e Tony Falco (batteria) sempre a insistiti livelli sperimentali. (Guido Michelone)

AMBIENT
Un magma
sperimentale

L’enorme spazio della fase liminare, regala creatività. Da applausi è il nuovo Hypnagogia (Karlrecords) della violoncellista italiana di stanza a Berlino, Martina Bertoni. Sei incisioni che viaggiano al limite degli stati allucinatori, in un magma che include ambient e sperimentazione. L’autrice fonde strumentazione analogica, digitale e voce con equilibrio, danzando leggera e consapevole sulla ricerca evocata nel titolo. A volume alto, consigliamo l’ascolto di Collided, Your Sun e Inversion. Prosegue la relazione artistica tra Lionel Marchetti & Decibel: il compositore di musica concreta francese e l’ensemble australiano da camera rilasciano Inland Lake (Le lac intérieur) dando vita a due movimenti che ci portano in una landa oscura dove la delicatezza e l’inquietudine si fondono. Il lavoro esce per Room40, che si occupa anche di Long Drove del britannico Simon Scott che ha tratto ispirazione da un progetto di recupero ambientale dell’area palustre nel Cambridgeshire. Atmosfere tenue, avvolgenti e agresti: per voi The Black Fens e Whittlesea Mere. (Gianluca Diana)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

TRIBUTI
Nobiltà
popular

AUDITORIUM BAND FEAT. MARIA PIA DE VITO E RAIZ
TUTTO SU EVA (Parco della Musica Records)


**** La flessuosa Auditorium Band diretta dal bassista Gigi De Rienzo, le voci apicali di Raiz, in piena attività di nuovo con i «suoi» Almamegretta e con i Radicanto, e Maria Pia De Vito, perfetta nei repertori popular più nobili da trattare con classe, eleganza e cuore. Il tutto da due registrazioni «live» a Roma e una prova del suono finale, per ricostruire un’intensa geometria femminile che mette in conto Carla Bley e Kate Bush, Björk e Carmen Consoli, Teresa De Sio, Laura Nyro, Joni Mitchell. E non è tutto. (guido festinese)

BRIT POP
Paragoni
d’autore

GAZ COOMBES
TURN THE CAR AROUND (Autoprodotto)


**** Che gli inglesi abbiano un gusto spiccato per la melodia è cosa risaputa, dai Beatles in poi. E uno che con le melodie ci sa fare fin dai tempi della sua band originaria, i Supergrass, è senza dubbio Gaz Coombes. Melodie sì, ma lontano dalla banalizzazione pop o dal facile appeal, e lo dimostra ancora una volta con questo nuovo lavoro solista, che si apre con due brani tra i migliori ascoltati negli ultimi tempi, Overnight Trains e Don’t Say It’s Over. I paragoni si sprecano: Scott Walker, Alex Turner, i Radiohead, Damon Albarn e via dicendo, e Coombes tra questi ci sta e ci sta alla grande. Ascoltare per credere. (roberto peciola)

JAZZ/2
Folklore
arcano

METTE HENRIETTE
DRIFTING (Ecm)


**** A nove anni di distanza dall’omonimo debutto, sempre con l’etichetta tedesca, torna la sassofonista norvegese la cui etnia Sami (tribù ugro-finnica) influenza non poco la propria verve creativa, che passa attraverso una rilettura jazz (o forse post jazz) di folklori arcani e di influenza classiche. Il disco si compone di quindici brevi pezzi, tutti originali, in razionale bilico fra scrittura e improvvisazione, con un perfetto interplay dei musicisti coinvolti: oltre la leader al tenore, Johan Lindvall al pianoforte e Judith Hamann al violoncello danno man forte a un progetto liricamente riuscito. (guido michelone)

ALTERNATIVE
Il coraggio
della scoperta

POIL UEDA
POIL UEDA (Dur Et Doux)


***** Si uniscono il bassista dei Ni, Benoit Lecomte, i sempre bravi PoiL e la cantante di musica tradizionale giapponese, nonché suonatrice di un cordofono chiamato satsuma-biwa, Junko Ueda. Il risultato è eccellente: complice anche la scelta di narrare una storia dell’epica nipponica, siamo davanti a qualcosa di esaltante. I musicisti forgiano una coreografia sonora totalmente rispondente all’esigenza di creare un paesaggio narrativo enfatico e sublime. Due temi, divisi in episodi multipli, compongono il tutto. A voi il coraggio di scoprirli. (gianluca diana)

TRIBUTI/2
I guizzi
di Totò

DANIELE SEPE
SEPÈ LE MOKÒ (Encore Music)


**** Finora disponibile solo ai partecipanti al crowdfunding, entra adesso nel circuito «ufficiale» (ammesso che esista ancora un’ufficialità!) l’irresistibile nuovo progetto del folletto zappiano in pentagrammi partenopei, Daniele Sepe. Capitan Capitone qui, alla guida di una scafata ciurma di quattrodici musicisti va al ripasso creativo delle musiche (di Piccioni, Trovajoli, Luttazzi e via citando: mica quisquilie) che facevano guizzare i film di Totò. Che ora guizzano al quadrato, e forse al cubo. Memoria e freschezza. (guido festinese)

BELLE AND SEBASTIAN
LATE DEVELOPERS (Matador/Self)
*** A volte è necessario fare coming out, anche se questo potrebbe significare farsi riversare strali addosso come se piovesse. Per esempio dai fan dei Belle and Sebastian dicendo semplicemente che a noi la band di Glasgow, pur amando le sonorità dream e shoegaze, non ha mai convinto. Difficilmente li abbiamo recensiti ma stavolta facciamo un’eccezione, non perché Late Developers sia chissà quale capolavoro, no, ma offre una serie di brani gradevoli, stranamente allegri, su un solco indie pop tipicamente British. (roberto peciola)

BJM MARIO BAJARDI
VORTEX (Autoprodotto)
**** Creatività ben modulata e finemente realizzata. Tra elettroacustica, sperimentazione, accessibilità quasi pop in alcuni passaggi e una concreta capacità di realizzare delle scritture che seguono le arti visuali. È l’equilibrio il punto focale. Evitando il rischio di una eccessiva intellettualità, Bajardi regala momenti di spessore come Viper Drops, Elogio alla follia, Bridge e Transistor. (gianluca diana)

ANDREA CASSESE
PAESI SEMPLICI (Viceversa Records)
**** Due dischi all’attivo – il primo nel 2015 – trentasei anni, una gran padronanza della sei corde con cui si accompagna. L’ambizione, tutt’altro che velleitaria, di scrivere canzoni che raccontino storie vere, ispirate, poetiche. Il napoletano Cassese rivendica letture e padri nobili: Danilo Dolci, Rocco Scotellaro, Silone, Pavese. E fa bene: perché poi gente come Brunella Selo, Nino Buonocore, Kaw Sissoko e un’immensa Govanna Marini in conclusione a doppiargli la voce gli danno fiducia e fanno splendere le canzoni. Belle, semplici, intense. (guido festinese)

H.C. MCENTIRE
EVERY ACRE (Merge/Goodfellas)
*** Ci sono generi e stili talmente consolidati e codificati che a volte rimane difficile capire chi sia l’artista in questione. Uno di questi generi è il cantautorato country folk d’oltreoceano, al quale si rifanno molte cantanti e autrici, come Heather McEntire, che pubblica il suo secondo lavoro. L’artista del North Carolina immette anche una certa dose di alt rock nelle sue composizioni che, pur rimanendo in un alveo più volte ascoltato, hanno comunque un loro fascino. (roberto peciola)

PETRINA
L’ETÀ DEL DISORDINE (Alter EDrebus)
*** Otto album in vent’anni di attività creative ripartite fra danza, performance, musica colta, art rock, ora vicina al puro cantautorato in sola lingua italiana: Debora Petrina mostra di padroneggiare assai bene il linguaggio sonoro in ogni sfumatura, proponendo undici intensi brani dalla tipica immediatezza pop. La ricerca accurata, sul piano lirico, si ferma però alle assonanze letterarie o ai giochi verbali, mentre sarebbero preferibili testi più impegnati sociopoliticamente. (guido michelone)

SAMUEL
LA CENA DEL TEMPO (Stellare)
*** Samuel da anni vive accanto a quella dei Subsonica, una parallela carriera solista che si muove ai confini tra pop e club culture. Questo nuovo lavoro – che parte da uno spettacolo andato in scena lo scorso autunno – è una sorta di sfida, perché il progetto non è solo musicale ma un vero e proprio approccio verso il mondo operistico. Una fiaba elettronica che si ispira a Vivaldi, tra l’elettronica e barocco. Non tutto collima alla perfezione, ma suona come un tentativo di uscire dai soliti cliché. (stefano crippa)