ROCK
Il dilemma
dei classici

Su cosa sia un «classico» il dibattito è aperto. Il termine ha subito tali e tanti slittamenti semantici che passa in secondo piano anche il dato di fatto principale: che ogni epoca «costruisce» i propri classici. Nel caso della popular music, difficilmente qualcuno potrà contestare cosa sia da includere nel canone del «classic rock». Più o meno quanto è stato inciso tra la metà dei Fifties e i primi Eighties, allo stato attuale. Ad esempio i gloriosi Little Feat. Il loro live Waiting for Columbus, 1978, mostrò cos’era il rock del Sud degli States gonfio di funk, di New Orleans, di blues. Per Warner ora uno spettacolare cofanetto in otto cd col set originale, più tre concerti integrali (Usa e Inghilterra), mai pubblicati, dello stesso periodo. Un trionfo. Uno splendore grintoso anche At The Royal Albert Hall (Craft) dei Creedence Clearwater Revival: 14 aprile 1970. Coglie il momento particolare della transizione verso un brioso vaudeville rock Everybody in Show-Biz (Bmg) dei Kinks, 1972. L’edizione rimasterizzata (bene) contiene la bellezza di dodici bonus track. (Guido Festinese)

INDIE ITALIA
Quasi una
colonna sonora

Due artisti molto lontani tra loro ma con un approccio che, sia pur muovendosi negli steccati della forma canzone, al loro interno sviluppano melodie, armonie, arrangiamenti che potrebbero essere colonne sonore senza alcun problema. Per Giorgio Peggiani (Contro il logorio della musica moderna, Maxy Sound) il discorso vale soprattutto nei brani strumentali. Essendo un armonicista, i territori sono prevalentemente quelli del blues. E allora vengono in mente paludi nei dintorni di New Orleans, o torride serate ai bordi del Mississippi. Una sorta di soundtrack per una versione italiana de Il buio oltre la siepe. Bebawinigi invece, con il suo strepitoso secondo album (Stupor, Subsound Records), intorno a un uso della voce tra il teatrale, il gospel, il bambinesco, il sacro e profano costruisce tappeti sonori con uso di chitarre apocalittiche, violoncello punk, ritmiche che, a volte (nei pezzi più travolgenti), fanno pensare a una techno hardcore distopica. Ogni brano è un viaggio a sé stante, con tanti colpi di scena. Uno stupore continuo. (Viola De Soto)

WORLD MUSIC
Esperienze
catalane

La musica in Catalogna dal dopo-Franco è un crogiolo di iniziative e di esperienze che produce un suono originale, dove le tradizioni autoctone (a partire dal linguaggio scritto e parlato, represso dal regime) si incrociano con le culture giovanili internazionali. L’etichetta Segell Microscopi ha, in tal senso, un catalogo variegato, dove, tra le recenti uscite, propone Clàudia Colom in La flor del dimoni: una cantautrice ballerina in grado di offrire un concept albu sui temi del sesso, della morte, della religione, che vengono liricamente filtrati da immagini, simboli, colori, mentre il sound guarda al folklore europeo e più in generale a una world music apertissima. Per contro, il folksinger Graut in El cel dels ignorants propone uno stile rock che ben s’abbina a una lingua catalana intonata per esprimere argomenti «politici», a cominciare dalla vacuità del mondo mediatizzato, quale fil rouge dell’intero album. Il duo Oller i Guerra con Miracle i misteri si lancia in un progetto che spazia tra jazz, fusion, cantautorato, con temi decisamente lirici. (Guido Michelone)

BLUES
Sensazione
autunnale

Autunno opulento di uscite discografiche in blues. Meritorio di attenzione è Billy Truitt, rodato polistrumentista e cantante che arriva dall’Idaho, con il suo Abstract Truth (Gutbukit Music). Pianista e valente suonatore di accordion, mette assieme dieci brani dove le atmosfere della Louisiana rurale si sciolgono in un blues rock mordace e accattivante. Grazie a una formazione di qualità, uno su tutti il sassofonista Jimmy Carpenter, convince appieno. Ne sono prova No Light Blues, Truth Come Here B. Truitt e i ritmi in levare di Salvation or Hell and Famous Potatoes. Ritorna il concitato e sempre allegramente rumoroso Blues Caravan (Ruf) che nella versione 2022 imbarca Katie Henry, Will Jacobs e Ghalia Volt. I tre vengono registrati in occasione del live tenutosi a Koblenz, Germania, composto da sedici brani dove a turno si alternano alla guida. Hill country, mescolato con stralci rock e soul a dare spessore. Suonate Release Me. Dal vivo anche la Starlite Campbell Band, in Live! 2 (Autoprodotto). Fedeli a se stessi propongono un robusto blues rock, come si apprezza con Hot as Hell. (Gianluca Diana)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

AMBIENT POP
L’armonia
di una gemma

ELLEN ARKBRO & JOHAN GRADEN
I GET ALONG WITHOUT YOU VERY WELL (Thrill Jockey)


***** Forse esageriamo, ma questo è un disco che avrebbe potuto nascere dalla penna magnifica e purtroppo perduta per sempre del grande Mark Hollis. Il duo tra la compositrice, e qui anche cantante, tedesca e il polistrumentista svedese, di stanza da tempo ad Amman, in Giordania, offre all’ascoltatore otto brani di rara bellezza e purezza. Ambient music che flirta con jazz, neoclassica e pop nella sua forma più dreamy. Costruzioni armoniche di grande fascino abbinate ad arrangiamenti quasi minimali ma in cui tutto è dove deve essere. Una piccola gemma da scoprire. (roberto peciola)

JAZZ ITALIA
L’onda
vitale

COSMIC RENAISSANCE
UNIVERSAL LANGUAGE (Schema Records)


**** Il «rinascimento cosmico» è uno dei progetti più avvincenti e avventurosi che il jazz italiano abbia tentato negli ultimi anni, accostandosi a quell’onda vitale di «afrofuturismo» che pervade le scene anglosassoni e la nuova poesia. Nello spirito di Sun Ra, di John e Alice Coltrane, di Sanders, Gianluca Petrella unisce un futuro con antiche radici a un passato delle note afroamericane che già intuiva l’oggi. Ospiti dall’hip hop e dalle nuove musiche da ogni latitudine, mistero e funk, swing, beat e voci a braccetto. Con intelligente regia. (guido festinese)

DOOM METAL
Misticismo
avvincente

THE LORD & PETRA HADEN
DEVOTIONAL (Southern Lord)


**** Uno dei passaggi meglio riusciti del disco è dedicato alla controversa figura dell’indiana Ma Anand Sheela. Si tratta di una canzone ipnotica e dal sapore quasi sciamanico, che evidenzia una scrittura creativa, quasi barocca, da parte dei due autori. Eguale percezione si ha lungo l’intero album da cui emerge un misticismo diffuso. La chitarra di lui e il violino di lei forgiano un intreccio avvincente, che garantisce alla Haden la possibilità di librarsi in volo con la voce. Doom e metal sono i suoni dominanti, ma vengono sfilacciati e ammorbiditi. Il meglio in What Lies Behind Us Lies Buried Because It Is Dead e Rise to Diminish. (gianluca diana)

JAZZ ITALIA/2
Energica
versatilità

LUCIA MINETTI
DREAMLAND (Velut Luna)


**** Forse la più versatile tra le cantanti jazz italiane, in grado di proporre tanto il fado e la bossa nova quanto lo swing o la chanson française, con questo nuovo album, la vocalist torinese, sulla scia del precedente, si affida, in un paio di occasioni allo scrittore Dario Voltolini per i testi, mentre la parte musicale è condivisa con Fabio Ranghiero (piano, Hammond, tastiere) che, in quartetto acustico, imprime una svolta quasi rock alla protagonista, non solo a proprio agio, ma soprattutto convinta e convincente nell’affrontare 10 brani (e una reprise) dal taglio deciso e dall’energia freschissima. (guido michelone)

RISTAMPE
Giustizia
è fatta

PINK FLOYD
ANIMALS (Parlophone/Warner)


***** Bloccato per quattro anni a causa delle solite paturnie di Waters – e le sue prese di posizione contro l’Ucraina stanno pregiudicando l’affare da 500 milioni di dollari per la cessione del catalogo floydiano – torna in tutto il suo splendore l’album pubblicato nel 1977. Considerato come episodio minore, in realtà è un progetto in cui il genio di Waters & Co. emerge ancora una volta sia nei testi – la rappresentazione delle classi sociali come animali, Orwell docet -, che nelle musiche potenti ed evocative. Il remix attuale – che toglie polvere e aggiunge bassi potenti e chitarre avvolgenti – rende ora giustizia anche ai suoni. (stefano crippa)

DON ANTONIO AND THE GRACES
COLORAMA (Santeria)
**** Ritorna Don Antonio, che tanti ricorderanno con Sacri Cuori e Alejandro Escovedo: adesso il musicista romagnolo, fantastico creatore di soundtrack immaginari che palpitano di mistero, di rimpianto, di desert rock morriconiano, collabora con The Graces, duo toscano sulla stessa lughezza d’onda. È andata a finire che queste note, nate come colonna sonora onirica, sono diventate colonna sonora davvero, per la docuserie Wanna. Perfetto. (guido festinese)

NILS FRAHM
MUSIC FOR ANIMALS (Leiter/Audioglobe)
**** Il musicista tedesco è da anni uno degli interpreti più efficaci e influenti della scena neoclassica. Rispetto a molti suoi «colleghi» ha saputo però sempre rinnovarsi, cercando di superare barriere stilistiche, e con questo nuovo lavoro abbandona del tutto lo strumento principe del genere, il pianoforte, per dedicarsi a sonorità ambient ed elettroniche; un progetto ambizioso che sfiora le tre ore di musica in cui l’ascoltatore può immergersi a piacimento, senza perdere di intensità e pathos. (roberto peciola)

ENNIO MORRICONE
COSÌ COME SEI (Cinevox)
*** Torna, in vinile fucsia, lo score (1978) che il compositore romano scrive, arrangia e dirige con un’orchestra sinfonica: è una tipica soundtrack, dal taglio romantico, tra efficaci inserimenti corali e assolo alla tromba, oltre a un paio di ballabili alla moda. La torbida love story narrata da Alberto Lattuada è contrappuntata secondo parametri d’ispirazione hollywoodiana a confermare un eclettismo vincente, persino quando il lavoro parrebbe di routine. (guido michelone)

PHILIPPE PETIT
A REASSURING ELSEWHERE (Oscillations)
*** Perché si può considerare che altrove, possa essere rassicurante: il titolo del nuovo disco del francese Petit è indiscutibile. E per raggiungere un luogo non ordinario, scomoda dei sintetizzatori analogici degli anni Settanta, EMS Synthi e Buchla 200. Aggeggi meravigliosi capaci di sonorizzare in modo cosmico e spettrale le inquietudini di chiunque. Theremin e grand piano completano l’armamentario con il quale è assicurato un peregrinare sperimentale niente male. (gianluca diana)

VERDENA
VOLEVO MAGIA (Capitol/Universal)
*** Un nuovo album dei Verdena? Evviva! Sarà la «rivincita» ad un lavoro così così come Endkadenz, e chissà, un nuovo Wow, il loro capolavoro e uno dei dischi rock italiani degli ultimi 30 anni. Poi il disco è arrivato e… il risultato è di un qualcosa di non compiuto, un album che suona bene nei passaggi più duri, tra hard rock Seventies e stoner, ma intramezzato da momenti poco riusciti, virati più su un pop di italica memoria. Peccato, ma comunque bentornati! (roberto peciola)

NEIL YOUNG
TOAST (Warner)
*** Continua il duello a distanza tra Bob Dylan e Neil Young su chi meglio sa sfruttare i propri imponenti archivi. Il canadese stavolta recupera un ennesimo disco perduto con i suoi sferraglianti Crazy Horse, anno 2001. Sette brani, campiture ampie e sature d’elettricità, malinconia e potenza classica a braccetto. E pazienza se Standing in the Light of Love ruba il riff ai Deep Purple. Gli si perdona questo e altro, per un brano come il conclusivo Boom Boom Boom. (guido festinese)