FOLK ITALIA
Quarant’anni
di passione

Esistono da quasi quarant’anni, i Cantodiscanto, quattro decenni di passione e di ricerca, su quel crinale importante che permette di passare dal folk revival partenopeo a uno sguardo complessivo sul Mediterraneo, e oltre. Pandemusica (Visage) è una riflessione viva e meditata su questo difficile periodo, con testi in italiano, napoletano, portoghese, arabo: questi ultimi affidati al grande Faisal Taher, ospite assieme a molti altri grandi musicisti, tra cui Riccardo Tesi con il suo organetto fatato. La messinese Oriana Civile, vocalist eccellente, etnomusicologa, autrice e interprete teatrale torna con Storii-tra il serio e il faceto (Suoni indelebili). Tredici brani per voce e chitarra classica che affondano le radici nei repertori orali, ma ci parlano dell’oggi in siciliano con scafata eleganza e ironia. Tatiana Valle e Giovanni Guaccero in Canto estrangeiro (Encore Music) rivisitano tra choro, samba e cantautorato le incantate poesie di Luís Elói Stein, figura da scoprire, simbolo dei brasiliani venuti a lavorare in Italia che, a ondate successive, hanno lasciato spunti e idee anche alle nostre musiche. (Guido Festinese)

DREAM POP
La regina
Elizabeth

Quando si parla di dream pop, shoegaze e affini il pensiero non può non andare alla regina del genere, a colei che questo stile lo ha praticamente inventato e a cui ha regalato pagine meravigliose al fianco di Robin Guthrie e Simon Raymonde nei Cocteau Twins: Mrs Elizabeth Fraser. Come una sorta di Re(gina) Mida, quello che tocca con la sua magica voce diventa oro. È successo con Craig Armstrong, con i Massive Attack e con altri, non poteva non accadere anche con Damon Reece, suo compagno nella vita, con il quale dà corpo a un progetto, Sun’s Signature, che vede tra gli altri anche la presenza di Steve Hackett. L’ep omonimo (Partisan/Self), contiene cinque brani impreziositi da Elizabeth, che in questi anni non ha perso una stilla delle sue doti canore. Citazione particolare per Bluedusk e Apples. Ancora un paio lavori: Earth Visions of Water Spaces (Labrador), secondo disco per le Tan Cologne, duo al femminile del New Mexico, che ci riporta al mood più classico della scena shoegaze, e Blue Lullaby (Dirty Hit/Rca), un ep con cinque brani rivisitati in chiave acustica dai Wolf Alice. Gradevole. (Roberto Peciola)

JAZZ
Rarità
standard

È sempre più raro trovare album di soli standard, mentre invece il repertorio «consolidato» dovrebbe essere il banco di prova per ogni tipologia jazz, come mostrano due «secondi volumi» assai diversi fra loro, ma accostabili per il desiderio di autoverifica creativa mediante le scelte tra bebop, swing, r’n’b, canzone. In tal senso Imminent Standards Trio Vol. 2 (Shifting Paradiom Records) di JC Sanford vede il trombonista americano assieme a Charlie Lincoln (contrabbasso) e Abinnet Berhanu (batteria) improvvisare sui sei pezzi tra free e hard bop (più due funk) che in questo caso stimolano sia l’interplay fitto sia all’inventività solista. Anche Rhythm Is Our Business Volume II (Filibusta Records) di The Jazz Russell con Filippo Delogu, Andrea Nuzzo, Alfredo Romeo recupera quasi tutti evergreen (1920-1960) nello stile soul dell’organ jazz trio. Del resto, ad avvalorare l’importanza formativa degli standard, basta ascoltare Blue Guitar (22 Publishing) antologia del riscoperto Grant Green dove i dodici pezzi mostrano l’assoluta prevalenza del «repertorio consolidato». (Guido Michelone)

BLUES
Di padre
in figlia

Settembre foriero di belle sorprese. La prima giunge da Vancouver e vede l’esordio degli A Family Curse, duo imperniato su padre e figlia, rintracciabili come Papa Niz e Baby Kiz. Il disco omonimo, fuori con El Mocambo Productions, è composto da dieci canzoni di blues in buona parte elettrico e fortemente sporcato di garage sanguinolento. La eccelsa voce di lei è maledettamente espressiva e rapisce. Ci piacciono in particolare brani come Cemetery Blues, Battered Bag of Bones e Desert Blues. Elettricità a non finire nei suoni blues rock di Blood on My Hands (Kings County Blues) firmato da Emanuel Casablanca. Oltre i tanti ospiti, gente come Paul Gilbert ed Eric Gales, lo stile del nostro si impone in sicurezza. Ann Lee, My Nerves e la title track sono il meglio da cui attingere emozioni. Orphan Jon and The Abandoned propongono un blues soul divertente e giocoso in Over the Pain (Vintage LaNell Records). Il leader e cantante di origine californiana, si fa ben sostenere dai suoi sodali: provare per credere con Tight Dress e Goin’ Down to Mobile. (Gianluca Diana)

LEGENDA

* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

TRIBUTI
La lezione
di De André

AA. VV.
DUEMILA PAPAVERI ROSSI (Stella nera/Centro studi libertari Pinelli)

**** Né nuova uscita, né ristampa: il titolo dirà qualcosa a molti. Semplicemente una nuova, curata confezione a libro che racchiude due cd densi (trentacinque contributi, gratuiti, peraltro) e molti scritti, il seguito del fortunato Mille papaveri rossi in cui buona parte del mondo indipendente musicale italiano aveva riletto De André. A suo tempo per sostenere a/rivista anarchica, che ha interrotto le pubblicazioni due anni fa. Oggi per aiutare il Centro studi libertari Pinelli di Milano. Offerta libera e responsabile, scrivendo a stella_nera@tin.it. (guido festinese)

ALT ROCK
Occhio
ai Nineties

CHRIS FORSYTH
EVOLUTION HERE WE COME (No Quarter)

*** Forsyth è stato, ed è tuttora, uno dei più influenti chitarristi della scena alternative statunitense. Non un virtuoso, ma uno che ha sempre amato sperimentare restando in un solco comunque «accessibile». Per questo suo nuovo lavoro, che si dipana lungo sette brani strumentali, si è fatto affiancare da gente di sicuro affidamento, da Doug McCombs dei Tortoise a Ryan Jewell (Ryley Walker) a Tom Malach (Garcia Peoples) fino a Steve Wynn e molti altri. Il risultato è un disco, totalmente strumentale, che richiama l’indie dei Nineties. (roberto peciola)

SOUL
Devozioni
iconiche

JONATHAN JEREMIAH
HORSEPOWER FOR THE STREETS (Pias/Self)

**** Quinto album per il cantautore londinese che – da sempre – non fa mistero della sua ammirazione – se non devozione – nei confronti di iconiche figure come Scott Walker o Terry Callier. Ad accompagnarlo però una vena compositiva di livello, in cui la voce profonda e sensuale si fonde con grazia a groove anni Settanta e parti orchestrali. Un disco nato a Saint-Pierre De Cole, vicino Bordeaux, nelle pause del tour sospeso per la pandemia, e i testi delle undici tracce che lo compongono raccontano proprio il cammino tortuoso dell’artista: dalla depressione alla rinascita. (stefano crippa)

SINFONICA
Descrizione
introspettiva

OTTORINO RESPIGHI
PINI DI ROMA (OutThere Music)

***** Il titolo completo riguarda i tre poemi sinfonici Pini di Roma (1924), Impressioni brasiliane (1927) e Belkis, regina di Saba (1932) del bolognese Ottorino Respighi (1879-1936), senza dubbio il massimo compositore del sinfonismo d’inizio Novecento. Il descrittivismo dei tre poemi sinfonici dedicati alla capitale (di cui Pini è il più registrato) cede quasi il posto a un atteggiamento introspettivo nel lavoro sul Brasile (pur con qualche inserto «etnico») mentre le musiche per il balletto Belkis piacciono per la loro voluta enfasi. Dirige il giovane Alessandro Crudele con la London Philarmonic Orchestra. (guido michelone)

NEOCLASSICA
Un incontro
per il clima

ANGELINA YERSHOVA & YNAKTERA
TIME FOR CHANGE (Twin Paradox Records)

***** Nove incisioni rarefatte ed eteree sono il risultato dell’incontro tra la pianista kazaka e il producer di stampo elettronico romano. Sia quando le pulsioni ritmiche sono maggiormente consistenti che nei casi contrari, il suono mantiene un sapore soave e trasognato. Le atmosfere neoclassiche si sciolgono a seconda dei brani in momenti in cui prevale la componente ambient o quella sperimentale. Il disco, nato con un occhio rivolto ai cambiamenti climatici, rammenta i suoni friabili e robusti al contempo del violinista Ed Alleyne-Johnson. Suonate Global Ocean Warming e One Planet). (gianluca diana)

MAXIME BENDER UNIVERSAL SKY
FALL & RISE (CamJazz)
**** Bender, quarantenne dal Lussemburgo, è nome da tenere d’occhio. Suona tutti i sax, ma qui, settimo disco a suo nome, si concentra su tenore e soprano, come Coltrane. O Shorter. Si riprendono le fila e la formazione dell’ottimo Universal Sky, con la chitarra a volte friselliana di Manu Codjia, l’organo e piano di Jean-Yves Jung, la batteria di Jerome Klein. Richiami folk quasi innodici, atmosfere cangianti e terse: pura intelligenza sonora. (g.fe.)

BOARDING COMPLETED
PARK BLUES (Losen Records)
*** Un nuovo guitar jazz trio norvegese, formato da Bard Helgerud (chitarra), Andrea Dreider (contrabbasso), Magnus Sefaniassen Eide (batteria), più la cantante Live Foyn Friis in tre bran: si muove sull’onda di un classico e al contempo aggiornato mainstream, proponendo tutti original (a firma Helgerud). Disco fresco, raffinato, persino, nelle parti soliste, con spunti trasgressivi, giacché i tre affermano d’interiorizzare tanto l’hard bop, quanto il grunge fuoriuscito dalle radio della loro infanzia. (guido michelone)

LUCAS NIGLLI & MATTHIAS LOIBNER
STILL STORM (Intakt)
**** Un disco coraggioso e innovativo, come spesso accade con le scelte della label svizzera. Qui si confrontano, con una poesia struggente e imprevedibile, Loibner con la sua ghironda, il «violino a ruota» medievale, e il percussionista radicale Niggli. Il risultato sono sedici miniature musicali che assomigliano a esoterici haiku per le note: imprendibili, semplici e misteriosi al contempo. (guido festinese)

PIPE DREAM
BLUE ROADS (CamJazz)
**** «Un tempo, sulle vecchie cartine d’America, le strade principali erano segnate in rosso e quelle secondarie segnate in blu», scriveva William Least Heat-Moon. Strade Blu si intitola il nuovo disco dei Pipe Dream, strepitoso ensemble che accorpa alcuni dei migliori musicisti creativi italiani al violoncello inarrivabile di Hank Roberts. Pipe Dream sta per «sogno irrealizzabile»: ma queste strade »secondarie» del jazz d’oggi sembrano piste per le stelle, e i sogni, qui, oltre che desideri, sono palpitante realtà. Musicale. (guido festinese)

FRANCOIS ROBIN & MATHIAS DELPLANQUE
L’ÖMBRE DE LA BETE (CD A’ La Zim/Parentheses)
**** Una miscela eterogenea capace di includere global south, elettroacustica e improvvisazioni che sanno di jazz scandinavo. E mentre il doudouk armeno, le cornamuse e vari cordofoni si inseguono, sintetizzatori e campioni electro creano lo spazio sonoro dove i due fanno confluire le loro stupefacenti idee musicali. Un lungo volo pindarico che trova la sua altezza più entusiasmante nei brani Perdu e Fin de regne. (gianluca diana)

SATURN’S CROSS
CHEAT DEATH (Avantgarde Music)
*** Il nome probabilmente dirà poco alla maggioranza dei lettori, e risulta una novità anche per chi scrive. Dietro il nome Saturn’s Cross si cela un duo composto dal polistrumentista canadese Sebastian Montesi e 1908 (basso e voce). Montesi, già in band come Mitochondrion e Auroch – death metal e dintorni, per intenderci – qui cambia registro dedicandosi a sonorità coldwave. La cosa gli riesce discretamente ma alla lunga il disco risulta monotono, e fin troppo algido. (roberto peciola)