INDIE POP
Sfumature
da sogno

C’è un genere che sembra quasi scomparire dai radar. Il pop, quello puro e semplice, senza particolari elucubrazioni, basato su un altrettanto semplice assunto: creare melodie in grado di restare in testa, senza esagerare con il melenso o il banale. Ci riesce ad esempio il cantautore californiano Jackson Phillips, in arte Day Wave, con il suo secondo lavoro. Pastlife (Pias/ Self) è un disco piacevolissimo, indie pop con venature dreamy di notevole fattura, che certo non toglie né aggiunge molto al genere ma perfetto per una mezz’ora di freschezza. Pop dal sapore psichedelico e con un tocco country per il frontman dei Real Estate Martin Courtney, che pubblica, dopo sette anni dal debutto, il suo secondo album solista, Magic Sign (Domino/Self). Come per Day Wave, anche se, come detto, su coordinate diverse, non c’è volontà di stravolgere stili e generi, ma solo quell’insopprimibile necessità di scrivere, suonare e cantare canzoni, niente meno niente più. Stessa spinta e stessa etichetta per i Night Moves da Minneapolis, che propongono un ep di quattro brani, The Redaction. (Roberto Peciola)

CLASSICA
Il secolo
parigino

A sentire i nomi di Franck e Ravel viene subito in mente un grande secolo di musica classica parigina: il belga César Franck (1822-1890) nella capitale francese realizza, negli ultimi anni di vita tormentata, alcuni capolavori presentati dal pianista Tanguy de Willencourt nel cd César Franck (Mirare SPPF) con la Flanders Symphony Orchestra diretta da Kristina Poska: è il ritorno al piano di un autore dalle architetture sonore magistrali grazie a una creatività palesata da opere formalmente ambiziose per via di una potenza espressiva e di una ricchezza armonica che hanno riscontro, a Parigi, nel successore Maurice Ravel dei Concertos/ Mélodies (Harmonia Mundi), qui riproposti dal pianista Cédric Tiberghien con il baritono Stéphane Degout e Les Siècles diretti da François-Xavier Roth: un prezioso compendio di un genio del XX secolo. Per finire ancora Franck abbinato al boemo Antonin Dvorak nell’album del Prazak Quartet (Parga Digitals) assieme al pianista François Dumont per gustare altre meraviglie tardo ottocentesche. (Guido Michelone)

BLUES
Il vento
della California

Ritmi che danno sferzate di allegria. Nuova uscita firmata da Matt Lomeo con When You Call (Autoprodotto). L’armonicista e cantante ci regala tredici brani che a metà tra West Coast e downhome, riescono ad essere ottimi compagni di ascolto. Il disco è variegato e ben suonato. Se ne ha prova con Accepting Applications, 27 e Outside of a Song, che spiegano quanto il vento della California abbia inciso sulla sessione. Sanno il fatto loro anche Brad Absher and The Superials che si danno con passione in Tulsa Tea (Horton Records) dove soul e New Orleans garantiscono spessore e carattere al disco. Che vede spiccare Neutral Ground, Hard Times e Should Be Prayin’ sul resto. Consigliato per lunghi viaggi estivi in automobile. Sul finale abbiamo un vecchio compagno d’avventure che rientra in gioco: Mick Kolassa presenta I’m Just Getting Started! (Endless Blues Records). Al fianco, con un peso considerevole, la chitarra di Jeff Jansen, divenuto oramai suo alter ego. C’è delicatezza, groove e quel Memphis Sound di cui il leader è portatore. Per voi Leavin’ Trunk. (Gianluca Diana)

Un paio di nuove uscite in casa Auand, al solito piuttosto lontane dal mainstream jazzistico, con gran spirito d’avventura. Giacinto Maiorca suona ogni tipo di percussioni, basso, e usa l’elettronica, Oscar De Caro suona gli ottoni «pesanti», tuba, trombone, anche quell’euphonium da tempo caduto nell’oblio. Aiutati da un bel gruppo di validi amici musicisti (dal quartetto d’archi ai sintetizzatori) danno vita in Drumbha a un jazz fresco di ricerca che bordeggia però anche le rilassate atmosfere del chill out. Sceglie invece la via della dissonanza, della energy music imparentata al rock (vedi Image-Tems, quinta traccia dell’album), di una tensione costante, che aggiunge un guizzo nervoso alla musica il pianista Filippo Deorsola. S’è laureato a Rotterdam, il suo trio Anaphora è nato proprio nelle aule olandesi (Jonathan Ho-Chin Kiat al basso, Ap Verhoeven alla batteria), trovate il tutto in Lexicon I. Un disco potente. (Guido Festinese)

LEGENDA

* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

RISTAMPE
Il battito infinito
del global south

AA. VV.
GNAWA MUSIC OF MARRAKESH-NIGHT SPIRIT MASTERS (Zehra)

**** Una ristampa di quelle che scaldano la memoria e la fanno pulsare senza posa. Sette incisioni che appaiono oggi, ancor più di ieri, come un caposaldo del global south. La registrazione effettuata nella Medina di Marrakesh, sembra freschissima. Il battito infinito non ha subito gli strali del tempo, e un merito enorme va, sempre e comunque, a Bill Laswell, artefice del tutto. Trentadue anni e non sentirli. Se per caso fosse per la prima volta tra le vostre mani, suonate Baniya. (gianluca diana)

PROGRESSIVE
Concetti
funk

THE DEAR HUNTER
ANTIMAI (Cave & Canary Goods)

**** Chiusa la saga delle Act Series i Dear Hunter di Casey Crescenzo cambiano registro prog, aggiungendo spezie funk e r’n’b alquanto inaspettate – sebbene già accennate con un precedente ep – con tanto di fiati presenti al punto da sembrare quasi il tratto distintivo di questo ennesimo concept della formazione del Rhode Island. Le melodie restano il punto di forza di Crescenzo e soci, e sono proprio quelle che richiamano la vecchia scuola prog, con sentori di Steven Wilson e degli ultimi Midlake. Li preferivamo prima ma non si può non ammettere che il livello è comunque decisamente alto. (roberto peciola)

JAZZ ITALIA/2
Missione
swing

THE JAZZ RUSSELL
RHYTHM IS OUR BUSINESS VOLUME II (Filibusta Records)

**** In missione per conto di un dio allegro e che diffonde un contagio, ma è un morbo benefico e salutare: lo swing. Nella specifica declinazione che lo stesso assunse negli anni Sessanta, quando i trii (a volte i quartetti) con sapide e grasse folate di Hammond e altri strumenti solisti erano una religione. La missione italiana è quella di The Jazz Russell, sessionmen scafati che quando riescono a riunirsi, come in questo secondo appuntamento in studio, fanno swingare praticamente ogni brano venga loro in mente. Con stile e senso della storia, grazia e potenza. (guido festinese)

CLASSIC ROCK
Le prime
volte

PINK FLOYD
THE RETURN OF THE SUN/LIVE IN ITALY 1971 (Audiovaults)

**** Il primo «vero» tour floydiano in Italia conobbe non poche difficoltà. Ad esempio una data originariamente prevista per Milano, dovette essere spostata a Brescia, dove si teneva l’Esposizione industriale. Ecco il concerto, al solito rimasterizzato al meglio da Audiovaults, quasi da disco ufficiale, dipanato su due cd, che inizia con una versione da sedici minuti di Atom Heart Mother, e finisce con l’inconsueto Blues semi improvvisato che rimanda a lontane fonti del suono floydiano. Per gli appassionati, una chicca da cercare. (guido festinese)

ALT ROCK
Dolcezze
paradisiache

JACK WHITE
ENTERING HEAVEN ALIVE (Third Man Records)

**** A tre mesi dall’ultimo lavoro in studio dell’ex White Stripes, ecco un dischetto nuovo di zecca. Si potrebbe pensare a una raccolta di brani scartati dalle session del precedente Fear of the Dawn, in realtà sono sì pezzi registrati più o meno in contemporanea, ma dal mood completamente opposto. Se lì c’erano riff e spunti di follia, affidati a chitarre acide e synth altrettanto acidi, qui si gioca sull’acustico, su sonorità che toccano il country o il vaudeville, e se vogliamo sono canzoni più «canzoni». E l’emblema è Taking Me Back (Gently), versione riveduta e addolcita (molto), dell’apertura di Fear of the Dawn. (roberto peciola)

BARBA NEGRI ZILIANI
ORPHEUS IN THE UNDERGROUND ((Emme Record)
**** Nel 2020 era arrivato un primo, notevole disco, un paio d’anni d’attesa, ed ecco il secondo, che non solo conferma le aspettative, ma ci induce a marcare stretto questo trio. Riccardo Barba con piano, organo Farfisa, sintetizzatori ben usati , Federico Negri alla batteria, Nicola Ziliani al contrabbassso, un nonetto misto, la tromba di Flavio Sigurtà. Il modello continua ad essere l’E.S.T. trio nordico, ma la musica è tutt’altro che derivativa. (guido festinese)

THE BRIAN JONESTOWN MASSACRE
FIRE DOESN’T GROW ON TREE (A Recordings)
*** Da ormai trent’anni Anton Newcombe, deus ex machina dei Brian Jonestown Massacre, reitera il suo cliché sonoro, incurante del tempo che passa e dei giudizi. Prende e rimescola, a suo modo, quanto si poteva ascoltare a cavallo tra i Sessanta e i primi Settanta dalle parti di San Francisco. E quindi vai con psichedelia, rock’n’roll, beat, garage e via citando. Questo disco non fa eccezione, e parte alla grande con The Real e Ineffable Mindfuck. Il problema è che pur rimanendo su un livello più che accettabile pian piano il tutto va un po’ scemando. (roberto peciola)

GUIDO CORADDU
MIELE AMARO (W Music)
*** Il cinquantenne compositore cagliaritano raccoglie, a proprio gusto, una dozzina di brani scritti da noti jazzmen sardi (Angeli, Ferra, Fresu, Lay, Melis, Murgia, Pia, Salis, ecc.) nell’arco di quarant’anni e li elabora per solo piano, onde evidenziarne una «sardità» che però si contrae a fronte di un lavoro interpretativo dal forte taglio classicista. (guido micheone)

BASTIEN KEB
ORGAN RECITAL (Gearbox Records)
**** Quarto lavoro per questo bislacco musicista che fa dell’imprevedibilità uno dei suoi punti migliori. Quindici brani che variano da retrospettive Eighties degne del miglior pop languido di allora, a suoni hip hop di ultima generazione, passando per una indiscutibile linea melodica. Tra ombre psichedeliche e atteggiamenti quasi cameristici, segnaliamo Pasadena, Protonoo Savvy GTi e The Woods. (gianluca diana)

PIETRO LAZAZZARA
GYPSY JAZZ STYLE (Stradivarius)
*** Lo swing gitano o manouche in Italia vanta diversi seguaci, che, in questo caso, intrecciano lo stile che fu del Quintette du Hot Club de France negli anni Trenta alle contaminazioni col flamenco spagnolo e la tarantella napoletana sull’onda della world music: il chitarrista (votato anche alle percussioni) s’avvale qua e là di alcuni colleghi onde creare un album al contempo vivace e romantico. (guido michelone)

VERDECANE
PICCOLO ROMANTICISMO SCAPIGLIATO (Cromo Ed.)
*** C’è anche l’armonica blues trascinante di Fabrizio Poggi che entra subito in argomento su Cuba storta con una derapata di note da maestri, nel nuovo disco dei Verdecane, e lo ritrovate anche in Fermata Baudelaire, altro colpo piazzato. Cammei per un disco ska folk e di blues gitano nel profondo che viaggia su robuste gambe ritmiche, un passo narrativo sicuro, testi curati che nulla concedono alla sciatteria imperante delle rime baciate e molto, invece, all’ironia necessaria in questi tempi di supponenza vacua. (guido festinese)