JAZZ ITALIA
Programma
senza confini

Si chiudono gli occhi, si lascia fluire la musica, e le volute di suono del tenore sul brano che intitola il tutto, Space Age, ci consegnano timbro, suono, l’attacco possente e rugoso del grande Gato Barbieri. Ma lui è Marco Castelli da Venezia, veterano di mille avventure in jazz. Accanto (per modo di dire: il disco è nato durante il lockdown!) s’è messo Matteo Alfonso, giovane organista Hammond, Marco Vattovani alla batteria, un concentrato di energia. Un programma senza confini che spazia da Verdi in reggae ad Abdullah Ibrahim. Per Caligola, come i due dischi che seguono. Ma però è un notevole lavoro in duo che affianca la fisarmonica di Flaviano Braga al clarinetto basso di Simone Mauri, anch’essi abituati a frequentare repertori trasversali e sorprendenti, comunque funzionali al millimetrico gioco d’incastro: ad esempio un brano degli Inti Illimani e Beat It di Michael Jackson. Il batterista Francesco D’Auria leader della seduta di Lunatics: la prima a suo nome, a sessantacinque anni. Accanto ha Cecchetto, Petrin, Tracanna, a esaltare un percorso in cui grazia, esperienza e duttilità si sentono tutte. (Guido Festinese)

ALTERNATIVE
Sol Levante
psichedelico

Su queste pagine più volte abbiamo avuto modo di occuparci di gruppi in arrivo dal lontano Oriente, in particolare da paesi come la Corea (del Sud) e il Giappone. Sottolineando sempre come il loro approccio alla musica «occidentale», non manchi mai dei sapori di quelle terre meravigliose e, contestualmente, di note di sana follia, parte integrante del loro essere. In questo spazio ci occupiamo di due soli album in arrivo dalla terra del Sol Levante, partendo da Kumoyo Island, quinto lavoro per i Kikagaku Moyo, in uscita per Guruguru Brain. Un fantastico mix di psichedelia e suoni della tradizione nipponica per un disco che più lo si ascolta e più intriga. Non stiamo parlando di un lavoro «facilissimo», e nemmeno di un «capolavoro», ma di un più che interessante album sicuramente. Il secondo disco è la riproposizione in chiave garage surf rock’n’roll – quindi chitarristica – di dieci tra i brani più noti dei teutonici Kraftwerk. Il tutto, che prende il titolo di The Twang Machine (Topsy Turvy Records), è realizzato dai The Routes. Roba forte, ascoltare per credere. (Roberto Peciola)

SPERIMENTALE
Riflessioni
ecologiche

Un’estate di sperimentazione. Con What Happens at Night (Fabrique Records) la compositrice Jana Irmert, realizza il suo miglior lavoro. A Berlino ha trovato la chiave di volta per connettere le riflessioni ecologiche alle basi della sua opera, con located sound e field recordings. L’esperienza accumulata in ambito teatrale si evidenzia nella indiscussa capacità di creare immagini. Oscurità e profondità sono tra le sue caratteristiche principali, come si apprezza in Dust Is the Rust of Time e Stratum. Kristine Scholz Plays Otte and Cage (Thanatosis Produktion) vede la pianista tedesca impegnata a un pianoforte Steinway del 1921. Esegue cinque movimenti firmati dai due compositori, i quali si incontrarono nel 1950 instaurando una importante amicizia artistica. Si impongono Das Buch der Klange, II di Hans Otte e Music for Piano 4-19 di John Cage. Stessa label per il contrabbassista svedese Johan Berthling che esordisce coraggiosamente con l’album solista Björnhorn in solo col suo strumento. Sette brani intimi e selvaggi, da cui segnaliamo Björnhorn IV. (Gianluca Diana)

TRIBUTI
L’eredità
dei sette standard

Di recente i jazzisti acquisiscono la consapevolezza di utilizzare il repertorio classico in chiave di citazione, omaggio, parafrasi, tributo, come accade con Opera! (Dodicilune) di Paola Arnesano e Vince Abbracciante, dove 13 celebri arie da melodrammi di Bellini, Donizetti, Puccini, Rossini, Verdi, ecc., vengono ricantate con accompagnamento di fisarmonica attraverso una modernizzazione swingante dagli aromi world. In The Ox-Mo Incident (Capri Records) di Frank Morelli e Keith Oxman si trovano brani ancora di Puccini e dei sinfonisti Borodin, Brahms, Fauré, Rachmaninoff, accanto a quelli dei songwriter per un quintetto hard bop dove l’inusuale oboe (al posto della tromba) offre un imprinting meno aggressivo e più romanticheggiante. Infine anche Anima (Alpha-Classics) vede Baptiste Trotignon, 48enne pianista francese impegnarsi in tre partiture colte dal taglio postromantico – come già accaduto in Italia con Giorgio Gaslini – eseguite assieme all’Orchestre Victor Hugo Franché-Comté mirabilmente diretta da Jean- François Verdier. (Guido Michelone)

LEGENDA

* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

JAZZ ITALIA/2
Profondità
introspettiva

BARBIERO/MANERA/SARTORIS
VERRÀ LA MORTE E AVRÀ TUOI OCCHI (SMC Record)

**** Da Ivrea, imperterrito, Massimo Barbiero continua la personale ricerca fuori da schemi o confini, registrando in due giorni un In Hora Mortis per sole percussioni (anche etniche) e, alla batteria, questo omaggio alla poesia di Cesare Pavese, in compagnia di Elisa Manera (violino) ed Emanuele Sartoris (piano): alternando il trio a interludi in solo o in duo, emerge un concept che da un lato potrebbe definirsi autodramma musicale, dall’altro la visione del jazz alla prassi della classica (e viceversa), per un sound cameristico di profonda introspezione. (guido michelone)

FOLK ROCK
La voce
di Budapest

GEORGE EZRA
GOLD RUSH KID (Columbia/Sony)

*** Budapest lo ha consacrato nel 2014 come stella del folk rock – ma con contaminazioni squisitamente pop -, poi sono arrivati due album che hanno toccato il numero uno nelle chart britanniche. Ci arriverà anche il nuovo lavoro, forte degli 80 milioni di stream del singolo Anyone for You, e della piacevole vacuità delle altre undici tracce: un pizzico di elettronica e un vago sentore alla Ed Sheeran e il successo è servito… Poi si potrà dissertare sull’opportunità di valorizzare il bel vocione tenebroso di Ezra con un repertorio più sostanzioso, ma questa è un’altra storia… (stefano crippa)

ART ROCK
Scintille
«kraut»

NEKTAR
…SOUNDS LIKE THIS (Esoteric Recordings)

**** In genere compresa nelle folte e oggi un po’ misteriose schiere del «kraut rock», la band dei Nektar, di stanza in Germania Occidentale, in realtà era fatta da musicisti inglesi che più inglesi non si sarebbe potuto. Quando entrarono in studio per questo disco sperimentale e meraviglioso avevano alle spalle un paio di maestose avventure «prog», ma qui scelsero, di fronte a un pubblico sceltissimo, di sperimentarsi in improvvisazione totale su qualche canovaccio. Ecco le session complete riscoperte, su due cd, e sono scintille non più solo «prog». (guido festinese)

ELETTRONICA
Viaggiare
danzando

PERFUME GENIUS
UGLY SEASON (Matador/Self)

**** Quando le musiche nascono per uno spettacolo «visuale», che sia teatro, cinema o, come nello specifico di questo sesto lavoro di Mike Hadreas, in arte Perfume Genius, per una performance di danza (The Sun Still Burns Here con lo stesso Hadreas tra i performer), non è mai facile riuscire ad estraniarsi dal contesto originario e focalizzare l’attenzione solo ed esclusivamente sulla valenza delle composizioni. E certo non è facile farlo per questo disco, che è molto distante da quanto l’artista di Seattle ci ha abituati. Ma se si riesce ad entrarci in «simbiosi» si viaggia che è una bellezza… (roberto peciola)

ELETTROACUSTICA
Espressioni
impevedibili

ROK ZALOKAR
SPEAK YOUR BODY (Nature Scene Records)

**** Arriva da Lubiana, Slovenia, questo talentuoso pianista di estrazione jazz, capace di raggiugnere bel altri lidi. A un primo ascolto viene da pensare che il mondo elettroacustico riesca a essere il luogo espressivo in cui collocare l’autore. Ma sarebbe restrittivo. Tra sintetizzatori, pianoforti e rumorismi vari, emergono sia la sensibilità alla melodia che a un continuo senso di sincera imprevidibilità. Ci piacciono molto Doors and Staircases of Perception, Keep Up the Good Work e Shadow of Emily. (gianluca diana)

ÉQUIPE DE FOOT
GERANIUM (Yapéno/Luik)
*** Il duo indie rock di Bordeaux per il terzo lavoro sceglie una strada meno tortuosa e ruvida rispetto a quanto prodotto in precedenza, rilasciando un disco dove la forma canzone «alt pop» prende il sopravvento, a livello melodico, ma spesso anche a livello di sonorità, guardando a quanto si ascoltava dall’altra parte dell’oceano Atlantico verso fine anni Novanta con nomi come Eels o Sparklehorse. La passione per il «rumore» non è del tutto sopita, ma quello che piace di questo disco è proprio una sorta di bipolarismo sonoro. (roberto peciola)

GALAVERNA
WAGDANS (Ams)
*** Galaverna è un progetto di Valerio Willy Goattin, vocalist e specialista di corde innamorato di uno spicchio bello e prezioso del folk rock che fu, mezzo secolo fa, dell’Inghilterra anni Settanta: Trees, Mellow Candle, Forest, Stone Angel, certi Steeleye Span, e via citando. Tutti sfiorati, qui, senza sterile citazionismo, nella «danza del fauno», con un organico elettroacustico di fiati, corde e percussioni di primo livello. (guido festinese)

LA JUNGLE
EPHEMERAL FEAST (Black Basset Records)
*** Sempre divertenti i due forsennati belgi. Questa volta aggiungono ai sapori kraut rock del nuovo millennio degli arrangiamenti contemporanei, dando vita a un post punk che sconfina nella trance, salvo poi avere una svolta a metà tra la scena psych texana e le magie ossessive del West Africa. Se volete sentirvi nel mainstream ricorrente ecco Rivari, se vi manca il french touch alla Justice suonate Hallow Love?, altrimenti buon viaggio psicotropo con VVCCLD. (gianluca diana)

NADDEI/SABRINA ROCCHI
RIPENSANDOCI (L’amore mio non muore)
**** Jula De Palma è oggi un’elegante signora ultranovantenne che vive in Canada. Nel ’74, dopo aver sfidato l’italietta bigotta e ipocrita con canzoni che sprizzavano allegra sensualità, si ritirò a vita privata. Ecco spuntare un disco, fresco e ben arrangiato in cui la vocalist Sabrina Rocchi e il marito Franco Naddei omaggiano la grande: che ha risposto dal Canada via FB con un vocale, entusiasta. Tua, Se qualche volta, Bugiardo e incosciente, Jula: che bellezza. (guido festinese)

OMAR SOSA & MARIALY PACHECO
MANOS (Skip)
**** Le «mani» del titolo sono tutte a denominazione d’origine caraibica controllata, perché anche Pacheco è cubana, come Omar. Mancava, nella discografia corposa di Sosa, un confronto con altre tastiere: qui succede, ed è una prevedibile (ma non scontata) festa dell’horror vacui, un «tutto pieno» scandito da una vivacità che non può non rimandare al patrimonio sedimentato afroamericano antillano. Tocchi d’elettronica accorti qui e là: pepe aggiunto, ma non superfluo. (guido festinese)

HEITOR VILLA-LOBOS
PIANO WORKS (Urania)
**** Noto ai più per la letteratura chitarristica, il compositore brasiliano (1887-1959) è musicista completo, come dimostra questa bella antologia di nove lavori per pianoforte, scritti tra il 1910 e il 1941: si avverte dalla Bachianas brasileiras n. 4 l’amore per la tradizione barocca, che, negli altri pezzi (Tristorosa, Chôros 5, Ibericarabé), viene mescolata a un sentire popolare, in grado di integrare il folklore urbano e indigeno, in un linguaggio dotto, splendidamente esternato dalla pianista Miriam Baumann. (guido michelone)