TRIBUTI
Passaggi
di memoria

Dediche, omaggi, passaggi di memoria che contribuiscono a rinsaldare le trame dei rapporti che fibrillano tra musiche e musicisti. Il potente sassofonista lucano Gianfranco Menzella, ad esempio, col suo quartetto di solido impianto hard bop in Dedicated to Bob Berg (GleAM) rende tributo a un gigante un po’ dimenticato del sax tenore scomparso cinquantenne, dopo aver suonato con gente come Horace Silver, Miles Davis, i grandi della fusion. Forza e schiettezza in questo disco, senza ricorrere al calligrafismo. La sassofonista Danielle Di Majo e la pianista Manuela Pasqui, compositrici e arrangiatrici, in un gran lavoro di studio esplicito fin dal titolo: Puccini, My Love (Filibusta). Arie celebri e celeberrime restituite a un’epitomica icasticità tutta sostanza, polpa melodica, gioco d’incastri tra citazione e improvvisazione. Homenagem ao Brasil (Dodicilune) del chitarrista Matthias Hopf, con Andrea Lamacchia al basso e Gabriele Mirabassi al clarinetto: incastro vertiginoso tra richiami europei e Brasile afroamericano, tra dediche importanti e schizzi originali perfetti. (Guido Michelone)

ELETTRONICA
Classiche
sintesi

Che l’elettronica ben si abbini a ritmiche sintetiche è noto, anzi è scontato. Quello che forse è più difficile è far convivere le due cose con sentori e strumenti classici, come il pianoforte e gli archi. Ci riescono, e bene, Olafur Arnalds e Janus Rasmussen che tornano insieme sotto il nome Kiasmos a dieci anni dal precedente lavoro, nonché loro esordio. L’album in questione si intitola semplicemente II (Erased Tapes/Audioglobe). Il primo suono del nuovo mini album della musicista elettronica scozzese-portoghese Su Shaw, in arte Shhe, arriva dopo circa 40 secondi e da lì si viene trasportati in un viaggio introspettivo e minimale tra i fiordi islandesi, ovverosia dove il disco, Dýra (One Little Independent/Bertus) ha preso forma. Musica elettronica d’ambiente quindi, intensa e affascinante. Chiudiamo con Deleted Scene (Monotreme), nuovo lavoro per il producer inglese Peter Cooper, noto come Stumbleine. Anche qui l’elettronica è il punto focale ma stavolta accompagnata da ritmiche downtempo e melodie vocali che richiamano sia Moby quanto il mai troppo apprezzato trip hop. (Roberto Peciola)

JAZZ
Una creatività
consapevole

Non sarebbe estate senza dei buoni dischi di jazz. Rientro soddisfacente per i norvegesi Flukten che pubblicano un album omonimo attraverso la Odin. Il quartetto si diletta con classe e consapevolezza in otto brani, la maggior parte scritti dal batterista Hans Hulbækmo, provenienti da registrazioni dal vivo e da studio. Il sound richiama, lo ammettono loro stessi, musicisti come Ornette Coleman e Paul Motian. Disco fresco, potente e che non include manierismi fuori luogo. Segnaliamo Omar’s Theme, Monica Frå Svolvær e Bjørni Sover. Da una selezione di concerti arriva anche Tri Dela (Sploh/Bruit Editions) firmato dal Šalter Ensemble, collettivo di undici musicisti sloveni e svizzeri che si caratterizzano per un suono prossimo all’elettroacustico e all’improvvisazione. Tanta creatività che si fa apprezzare in Interstices/Interferences. Quasi cinematografico è More Human (Hubro) a cura del trio norvegese Splashgirl assieme a Robert Aiki Aubrey Lowe. La presenza dello statunitense ai synth amplia la capacità descrittiva della formazione: ottimo esempio è Afterlife Like. (Gianluca Diana)

JAZZ/2
Doppia
interazione

Duetti insoliti, almeno per quanto concerne le tipologie di strumenti, nell’ambito di eterogenee sonorità contemporanee: questo potrebbe essere il fil rouge che lega tre album, tutti di eccelso valore per la scelta dei repertori e qualità d’esecuzione. Molto frequente nel jazz attuale, ma di fatto rarissimo nella musica colta è l’interazione sax/pianoforte che in Time Is Breathing (Stradivarius) del Duo Sbaffi Campi si traduce nel rielaborare e accostare musiche sei-settecentesche (Monteverdi, Bach, Haendel, Corelli) al Novecento di Gurdjeff, oltre una moderna sonata di Hindemith e una première di Napolitano. Italian Perspectives (Stradivarius) del Duo Renda-Trucco, trova invece i lavori per due chitarre di 10 compositori nostrani dagli anni Sessanta a oggi, più un inedito di Giorgio Gaslini, Libras, scritto poco tempo prima di morire. Infine, nonostante il titolo, Adagio (Hora Records) di Hank Roberts & Filippo Vignato, è un disco di puro jazz anche se l’impiego rispettivo di violoncello e trombone porta a un sound tavolta classicheggiante in senso avanguardista. (Guido Michelone)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

ALTERNATIVE
Il futuro
dietro le spalle

EELS
EELS TIME! (E-Works/Pias/Self)

*** Quindicesimo album per il gruppo che fa capo a Mark Everett, in arte E. Il disco, nato dopo un intervento a cuore aperto subito dall’artista, lo vede collaborare per la prima volta nella scrittura dei brani con Tyson Ritter degli All-American Rejects, senza che questo abbia portato chissà quali stravolgimenti compositivi. E infatti Eels Time! è un tipico disco alla E, né più né meno, con la sola differenza che la vena non è più, e come potrebbe essere altrimenti, quella dei giorni migliori, che risalgono ormai a circa trent’anni fa. (roberto peciola)

 

JAZZ ITALIA
Il respiro
dell’eroe

ENZO FAVATA
OS CAMINHOS DE GARIBALDI (Caligola)

**** La figura di Garibaldi, checché ne pensino i tristi figuri della riscrittura della nostra storia, è pathos ed epica, anche sfrondando ogni dimensione «eroica», che pure ci fu, in sovrabbondanza. Il sassofonista e clarinettista Enzo Favata da sempre coltiva nelle sue incisioni un respiro narrativo ampio, articolato: e qui, con questo ritratto in quattordici quadri per il liberatore di due mondi in camicia rossa, coglie e enfatizza momenti topici, fin al bel finale di partita a Caprera. Formazione a settetto scattante: per non far torto, citeremo un solo grande: Giancarlo Schiaffini. (guido festinese)

 

ALTERNATIVE/2
Magma
empatico

FYEAR
FYEAR (Constellation)

***** Una delle migliori uscite dell’anno quella firmata dal collettivo capitanato dal compositore e sassofonista Jason Sharp, che si occupa anche del comparto electro, assieme al sodale Kaie Kellough autore di testi e relativo spoken word. Sette brani dove rintracciamo furori, riflessioni ed empatia liquefatti in un magma di jazz, drone music, post rock e hardcore. Micidiali sono Trajectory, Counter Clock e Misconception. E in Pure Pursuit si materializza un incontro perfetto tra John Sinclair e i Melvins. Bellissimo. (gianluca diana)

 

COFANETTI
Un capolavoro
degli Eighties

POLICE
SYNCHRONICITY 40th ANNIVERSARY (Universal)

***** Il quinto album della (breve) carriera, colse i Police al massimo della fama e del successo, con un potenziale commerciale enorme (solo in Usa vendette otto milioni di copie). Ma i rapporti tra i componenti erano irrimediabilmente compromessi e il gruppo si sciolse. Esce a oltre 40 anni di distanza il classico cofanetto con sei cd, con 84 brani, di cui buona parte inediti, concerti, remix e altro. L’album non ha perso un grammo di quella freschezza, voglia di sperimentare e di elaborare il loro sound. Un capolavoro degli Eighties. (antonio bacciocchi)

 

ALTERNATIVE/3
Combinazione
psichedelica

POND
STUNG! (Spinning Top/Goodfellas)

**** Prendete i Led Zeppelin, unite un assaggio di Prince e poi mischiate il tutto in un composto pop psichedelico tra i Sixties e i Seventies. Come risultato avrete Stung!, decimo album degli australiani Pond, alter ego o band parallela dei Tame Impala. Nick Allbrook, mente della formazione che vede anche Jay Watson tra le sue fila, tira fuori dal cilindro un doppio vinile con quattordici brani eterogenei che, come detto, vanno a ricalcare ora il quartetto inglese, ora il genio di Minneapolis, ora addirittura spunti soul come la (I’m) Stung che a noi ricorda Gimme Little Sign di Brenton Wood. (roberto peciola)

 

ADDICT AMEBA
CAOSMOSI (Black Sweat)
**** Il collettivo milanese «con gli occhi e il cuore aperti verso il resto del mondo» travolge con un album pieno di energia, groove, ritmi infuocati che assimilano ethio jazz, rumba congolese, latin sound, highlife, afrobeat, influenze soul e tanto altro. Ospiti speciali il musicista E poeta anglo-nigeriano Joshua Idehen e il musicista E performer tunisino Rabii Brahim. Arrangiato alla perfezione, suonato benissimo, con un approccio esplosivo. Si balla. (antonio bacciocchi)

CAN
LIVE IN ASTON 1977 (Spoon Records)
**** Passano gli anni, cresce il peso specifico storico della band tedesca che, in singolare sincronismo con le avventure elettrico-modali coeve di Miles Davis seppe riscoprire la trance music e l’improvvisazione da sponde popular. Nessun brano era mai finito, per i Can, nessun flusso sonoro qualcosa di ripetibile. Questa nuova testimonianza coglie la fase finale del gruppo in uno show inglese, con loro c’è il giamaicano Rosko Gee, già al basso con i Traffic: nuove scintille creative (anche) in levare. (guido festinese)

KIWANOID
VANATÜHI (Mille Plateaux/Glitch Please)
*** Jaanus Kivaste è il nome vero di Kiwanoid, artista multimediale estone in giro da fine anni Ottanta in formazioni punk raw’n’dirty. Dai Duemila si è rivolto verso l’elettronica. Oggi sforna un album contenente venti tracce spezzate e multiformi, in cui techno e glitch di matrice contemporanea portano come titolo «nulla» in lingue diverse. Esplosivo, caotico, tiratissimo. (gianluca diana)

PAKT
NO STEPS LEFT TO TRACE (Moon June)
**** Il supergruppo al secondo album conferma la tendenza a rifarsi a un prog rock shakerato con elementi jazz, psichedelici, ambient, che esaltano la perizia del quartetto di Alex Skolnick, Tim Motzer, Percy Jones e Kenny Grohowski. La band ricorda il coraggio e l’audacia delle primissime sonorità prog, quando la magia istantanea trionfava sui luoghi comuni. Senza modelli precostituiti, tirano fuori una musica originale e convincente. (guido michelone)

RADIODERVISH
CUORE MERIDIANO (Cosmasola Edizioni Musicali)
*** Sempre sospeso tra impegno sociale e ricerca musicale, il gruppo italo-palestinese celebra il ritorno con un mini album. Quattro cover e la ripresa di Giorni senza memoria, il brano inedito che aveva segnato l’incontro con Massimo Zamboni. Il filo che accomuna la scaletta è la guerra, la cui eco ricorre in Giorni infiniti di Battiato, Le temps de vivre di Moustaki e Pourquoi cette pluie di Idir. Superba la rilettura di Luglio agosto settembre (nero) degli Area con la frase «canto la mia gente che non vuol morire» a sottolineare ancor più la tragedia di Gaza. (stefano crippa)

PAOLO SALA
SEMPLICE MENTE (Banksville)
**** Il chitarrista vercellese, a dieci anni dall’esordio (Solitude), torna con un disco all’insegna di una fusion che profuma di tanti aromi, lasciando a volte la sensazione di un bel déjà vu anni Settanta, nonostante i musicisti siano di altra generazione. Siamo d’accordo con Sala quando afferma che l’album è il frutto di un duplice studio (classico e jazz) guardando al problema dell’improvvisazione vista anche quale «immediatezza mascherata da apparente semplicità». (guido michelone)