Nei mesi scorsi abbiamo iniziato un’esplorazione tra gli alberi più annosi del nostro paese, soffermandoci dapprima sulle conifere, in particolar modo i larici e i pini che radicano tra Alpi e Pollino, dunque avventurandoci nella vasta costellazione di castanodonti che sono presenti in diverse aree del paese, tra Etna, Appennino e zona prealpina. Questa volta accarezzeremo alcuni dei nostri splendidi ulivi.

IL RAPPORTO TRA UOMO E ULIVO risale i secoli e oggi si crede che l’uomo li conosca e li coltivi da migliaia di anni. Già ampiamente popolare al tempo dei romani, l’olivicoltura ha avuto uno sviluppo altalenate nel corso dei secoli, per diventare quell’importante fattore di sviluppo economico nel corso dell’ultimo secolo. Se dovessi provare a scegliere tre ulivi di cui non si può assolutamente non parlare probabilmente sceglierei Sa Reina in Sardegna, gli ulivi di Pettineo, il paese degli ulivi monumentali, in Sicilia; quindi sarei indeciso tra uno dei tantissimi ulivi di Puglia, concentrandomi necessariamente sulla piana degli ulivi monumentali di Ostuni, Fasano e Monopoli. Certo, come ignorare l’ulivo della Strega di Magliano, ad oggi l’ulivo più annoso conosciuto in Italia, tantomeno i grandi ulivi dell’Umbria, gli ulivi della Liguria e quelli della Sabina. Ma perché mi sono posto il dilemma di sceglierne solo tre? Proviamo dunque a descriverne qualcuno.

TRA GLI ULIVI DEL NORD ITALIA credo che un posto speciale occupino gli ulivi della Liguria, probabilmente non paragonabili ai giganti di altre aree del Belpaese ma comunque alberi notevoli e plurisecolari. Ad esempio l’ulivo di Bordighera, già notoriamente dipinto da Claude Monet durante le sue visite costiere, nei primi mesi dell’anno 1884. Oppure l’ulivo di Villa Minerva, in frazione Poggio a Sanremo, un 5.6 metri di circonferenza del tronco che si racconta che un tempo fosse talmente visibile dal mare da essere punto di riferimento per i naviganti. Qualche dubbio sulla veridicità di questa leggenda permane.

IN TOSCANA OVVIAMENTE gli ulivi non fanno difetto, ne ho incontrati molti di vetusti, ma l’esemplare più noto e annoso è l’ulivo della Strega, a Magliano (Gr), di cui noi oggi possiamo ammirare le ultime due generazioni: l’ulivo medioevale che caratterizza la sua struttura portante, traforata, infuocata, modellata, e le più recenti crescite «contemporanee» che lo incoronano con una piccolo chioma. Ma al di sotto alcune radici sono state analizzate col metodo del carbonio radioattivo attestando un’età remota tra i 3000 ed i 3500 anni; di quella pianta antica non vediamo più nulla, è un segreto che riposa nel silenzio della mondo sotterraneo, come i resti di antiche città sepolte.

IN UMBRIA, TERRA DI francescani e mistici, la coltivazione dell’ulivo è molto antica e diffusa. Tra i diversi campioni si possono ricordare gli ulivi di Villastrada, frazione di Castiglione del Lago (Pg), un consorzio di diversi ulivi concresciuti, stimati in età tra gli 800 ed i 1000 anni, oppure il più annoso, per quanto attualmente conosciuto, che cresce a Bovara, frazione alle porte dell’incantevole nido di case che è Trevi.

QUI, IN UN ULIVETO sopravvissuto tra le case e a poche centinaia di metri da un’abbazia benedettina, c’è l’olivo di Sant’Emiliano, primo vescovo della città ed uno dei primi martiri cristiani a causa dell’editto di Diocleziano che aveva messo fuori legge la religione a partire dal 304 d. C. Un albero che ho rivisto recentemente, composto di quattro colonne tornite che sono disposte in cerchio, a farsi compagnia, forse orfane di un tronco centrale che non esiste più. La sua età viene stimata tra i 1500 e i 2000 anni. Accatastando queste stime di età sembra di giocare coi numeri, secolo più, secolo meno.

Poco noti invece gli ulivi del piccolo Molise, probabilmente più conosciuto per le faggete e i grandi esemplari di quercia. Ma gli ulivi non mancano, come testimonia l’ulivo di Venafro (Is), 5.3 metri di circonferenza del tronco e 400-500 anni di età stimabile.

NEL LAZIO I GRANDI ULIVI sembrano essersi accasati tutti in Sabina. Due i must: l’olivastro di Fara in Sabina, a Canneto, dalla chioma foltissima, il tronco monumentale, millenario, in salute, e quel che resta di un ulivo segnato dal tempo, l’ulivo di Palombara Sabina, due ali scolpite e attraversate dal sole, a pochi passi dal monastero francescano. Curiosamente due alberi così diversi rappresentano la vetusta dimensione del tempo ingannato.

EPPURE, NONOSTANTE ogni albero faccia adeguatamente storia a sé, cosa dire della costellazione numerosa e sparsa degli ulivi di Puglia, con quell’enormità che è la piana degli ulivi millenari presenti anzitutto nei territori del comune di Ostuni? Esemplari di 7 e 8 metri di circonferenza dei tronchi, un campionario di morfologia arborea supremo, i nomi più curiosi e originali che tanti amanti e appassionati e visitatori gli affibbiano, in un’area purtroppo recentemente lambita dal contagio spaventoso che la xylella ha iniettato in questa terra fino a pochi anni fa verdissima e florida.

SI SPERA SEMPRE IN UNA svolta, in una soluzione a questo problema molto più grave rispetto a quanto stimato in precedenza, basti andare in provincia di Lecce, oramai perduta, navigando verso la punta meridionale della regione si può tristemente constatare quanto annerito sia il cuore di questa terra, un mare oscuro di decine di migliaia di alberi consumati, annientati da un’epidemia che per la specie non è meno definitiva della peste per noi umani. Ma i titani di Ostuni, di Fasano, di Monopoli sono ancora intatti e vivono questo loro eden che noi possiamo fortunatamente visitare.

IN CALABRIA E’ UNA RECENTE scoperta una colonia di piante plurisecolari a Roseto Capo Spulico (Cs), cortecce chiarissime, tronchi fino a 650 cm di circonferenza. Ci restano le due isole maggiori, dove di grandi alberi non si fa di certo difetto. Abbiamo già incontrato ad esempio i castagni sulle pendici dell’Etna, ma potremmo incontrare gli estesi ficus delle città, le querce delle Madonie, e gli ulivi, che sono presenti in diversi punti del paesaggio umano. Ne ho misurati e incontrati in tanti luoghi ma gli imperdibili restano gli esemplari di Pettineo, paese che si presenta come territorio di ulivi secolari, e dove in effetti le strade transitano sempre accanto a grandi piante. Ovviamente bisogna ardire e inoltrarsi nelle frazioni più arroccate o sprofondate, per andare ad incontrare gli esemplari più grandi, come ho fatto ad esempio in contrada Innari.

IN SARDEGNA ABBIAMO quantomeno due luoghi di richiamo: l’uliveto storico alle porte del comune di Villamassargia (Su) e le campagne di Luras (Or). In queste ultime possiamo incontrare gli splendidi olivastri, di cui abbiamo già scritto in passato e considerati tra i nostri alberi più vetusti, stimati tra i duemila e i tremila anni di età, col campione del genere che è stato fotografato in tanti libri, da molti cercatori di alberi e anche ritratto maestosamente nelle chine di Federica Galli. Il suo tronco dall’aspetto scultoreo e preistorico misura bel 11 metri e mezzo di circonferenza. Un altro gigante della specie ha fatto mostra di sé fino alla scorsa estate quando uno dei tanti incendi purtroppo lo ha raggiunto, cresceva a Cuglieri (Or). Altri si trovano accanto alla chiesa di Santa Maria Navarrese a Baunei (Nu). Il S’Ortu Mannu o orto grande si estende per diversi ettari alle porte di Villamassargia, vi si possono ammirare cinquecento piante ultra e plurisecolari, ma il capolavoro del genere è La Regina, o in lingua locale, Sa Reina. È stato anche uno dei protagonisti di un romanzo di Simone Caltabellotta (editore Ponte alle Grazie), oltre che soggetto ripetutamente immortalato, ma sempre per difetto poiché trattasi di una di quelle nostre immense piante impossibile da cogliere nel pieno della sua irriducibilità. Le stime sull’età variano tra gli 800 e i 1000 anni.

DI TUTTE QUESTE PIANTE ho scritto in un recente silvario, Alberi millenari d’Italia, un illustrato uscito per le edizioni Gribaudo, che consiglio per i vostri regali di natale e di buon auspicio per un 2022 di nuove libertà, dendrosofie, meditazioni e esperienze colme di luce.