Gli studenti all’assalto del Palazzo
Sudafrica Disoccupazione e disuguaglianza nell’accesso all’istruzione sfavoriscono ancora, 20 anni dopo la fine dell’apartheid, la maggioranza nera del Paese
Sudafrica Disoccupazione e disuguaglianza nell’accesso all’istruzione sfavoriscono ancora, 20 anni dopo la fine dell’apartheid, la maggioranza nera del Paese
Tra gas lacrimogeni, granate stordenti, lanci di pietre e canti, è culminata ieri davanti all’Union Building di Pretoria – sede della Presidenza della Repubblica e degli uffici del Governo sudafricano – la mega protesta degli studenti universitari esplosa circa dieci giorni fa in un grande movimento a livello nazionale, probabilmente il più grande dalla fine dell’apartheid nel 1994.
Jacob Zuma non ha per ragioni di sicurezza incontrato i manifestanti come precedentemente annunciato, ma ha reso noto sulla tv di stato – dopo un incontro con i leader degli studenti, le autorità universitarie e funzionari di governo – di aver congelato il piano degli aumenti delle tasse universitarie per il 2016. Le prime dimostrazioni contro il piano degli atenei di aumentare le tasse annuali sino all’11,5% a partire dall’anno prossimo (e dunque contro la decisione del governo di non intervenire con maggiori finanziamenti a sostegno dell’istruzione) sono scoppiate il 13 ottobre scorso all’University of the Witwatersrand (Wits) di Johannesburg.
Da allora le proteste (echeggiate su Twitter sotto l’hashtag #FeesMustFall) hanno colpito almeno altre 15 università, costringendole alla sospensione delle lezioni. A Johannesburg, migliaia di studenti della Wits e dell’University of Johannesburg hanno sfilato per le strade e si sono radunati davanti al Luthuli House, quartier generale dell’African National Congress (Anc) per consegnare le loro richieste al segretario generale del partito al governo Gwede Mantashe. Nell’Eastern Cape, presso la Nelson Mandela Metropolitian University (Nmmu), la polizia ha sparato proiettili di gomma e granate assordanti per disperdere gli studenti. A Cape Town, 23 studenti sono stati arrestati martedì scorso per aver bruciato pneumatici e eretto barricate agli ingressi dell’università (Uct).
La rivolta è arrivata anche, il giorno dopo, davanti alla sede del Parlamento a Cape Town, dove la polizia in assetto antisommossa ha lanciato gas lacrimogeni e granate stordenti contro centinaia di studenti che avevano fatto irruzione all’interno della recinzione presso l’entrata principale dell’edificio per impedire al ministro della Finanze Nhlanhla Nene di illustrare il bilancio provvisorio dello Stato.
La dichiarata esigenza degli atenei universitari di aumentare le tasse per poter assicurare i loro standard formativi non ha incontrato la solidarietà delle classi dirigenti al potere e la loro disponibilità a maggiori sovvenzionamenti ma ha trovato la rabbia degli stdenti neri. A evidenziarsi ancora una volta è la problematica maggiore che fa da sfondo a tutte le altre in un Paese che arranca a rinascere dalle ceneri del vecchio regime dell’apartheid, vale a dire l’accesso equo e garantito all’istruzione. Le proteste di questi giorni in Sudafrica, lungi dal coinvolgere alcuna parte politica, cavalcano un malessere generale della popolazione che non può prescindere dalla divisione tra bianchi e neri che ancora affligge la nazione arcobaleno. A manifestare e a difendere le loro ragioni contro un aumento delle tasse (non bilanciato con i redditi delle famiglie di provenienza) che per moltissimi significherebbe la rinuncia agli studi sono gli studenti neri (i bianchi lo fanno per solidarietà).
Disoccupazione, povertà, diseguaglianza nell’accesso alle risorse economiche e all’istruzione sfavoriscono ancora – più di vent’anni dopo la fine dell’apartheid – la maggioranza nera del Paese.
E restano figlie di politiche economiche ed educative che continuano a reiterarsi a svantaggio delle classi più svantaggiate. Alla rabbia degli studenti molti dei quali sono «born free» cioè nati liberi nel post-apartheid, la polizia e le classi dell’Anc al potere hanno opposto gas lacrimogeni e proiettili di gomma suscitando addirittura le preoccupazioni del dipartimento di stato americano che attraverso il portavoce John Kirby si è detto intenzionato a continuare a monitorare la situazione. Immagini speculari a quelle di un passato mai del tutto sradicato e che riportano alla mente quelle, certo più drammatiche e feroci, del massacro nella township di Soweto del 16 giugno del1976 quando la polizia aprì il fuoco contro 10 mila studenti neri che protestavano contro un decreto del regime di introdurre l’Afrikaans nelle scuole come lingua obbligatoria.
Non è la prima volta che gli studenti scendono in piazza quest’anno per sollevare questioni legate a divisioni razziali ancora ben radicate. È quanto è successo ad aprile scorso con le proteste studentesche che hanno guidato la campagna di rimozione delle statue di personaggi storici che hanno fatto la storia del colonialismo e dell’apartheid. E che ha visto cadere per prima quella di Cecil Rhodes (imperialista britannico della fine dell’800), divelta dal sostegno da cui per anni ha sovrastato l’entrata dell’University of Cape Town (Uct).
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