Quando non è legato a un grande nome, l’Ottocento italiano esibito in mostra fatica oggi ad attirare grandi folle e ciò rende degna di nota la rassegna organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara a Palazzo dei Diamanti (fino al 10 giugno), intitolata Stati d’animo Arte e psiche tra Previati e Boccioni e curata da Chiara Vorrasi, Fernando Mazzocca e Maria Grazia Messina.
La mostra copre approssimativamente un periodo che va dal 1880 fino agli anni dieci del XX secolo, per esaminare il passaggio dal Simbolismo e dal Divisionismo all’avanguardia modernista del Futurismo, attraverso l’evoluzione del pensiero e delle tecnologie. In particolare, muove dalle implicazioni del dibattito interdisciplinare sui meccanismi della percezione e indaga la rappresentazione artistica della vita psichica, gli «stati d’animo» appunto, colta nelle sue determinazioni storiche e stilistiche nel trapasso epocale tra Otto e Novecento in Italia. Pertanto gli «stati d’animo» diventano un raggruppamento di elementi concettuali, un cluster tramite cui si tenta di dare forma intellegibile alla complessità di una transizione culturale, ricucendo in una sintesi coesa le varie e reciproche contaminazioni tra il discorso dell’arte e quello della scienza – e più specificamente delle allora emergenti neuroscienze: psichiatria, psicologia, frenologia. «Figlia della rivoluzione portata dalla teoria evoluzionistica di Charles Darwin, la generazione di artisti e intellettuali degli ultimi decenni del secolo fa i conti con un universo senza Dio, ma, in compenso, ottiene nuove chiavi di accesso alla dimensione inesplorata dei processi mentali e psichici».
Così l’esposizione si articola per sezioni tematiche e ogni sala illustra l’espressione artistica di un sentimento, individuata nelle sue diverse declinazioni e nelle relative interconnessioni: «dalla melanconia all’abbandono nella rêverie, dall’abisso della paura alla liberazione delle pulsioni sessuali e degli istinti aggressivi, fino al rapimento estatico dell’amore e alla sublimazione nei sentimenti di pace e armonia universale, per chiudere sulle note frenetiche ed esaltanti prodotte dall’esperienza della città contemporanea».
Per ogni tema vengono convocati più autori, con opere spesso differenti per tecniche e materiali. Il percorso parte con un Autoritratto (1882) di Giovanni Segantini e si chiude con La risata (1911) di Boccioni: «nella poetica degli stati d’animo, che ha in Umberto Boccioni il suo centro motore, trovano una risposta e una radicale formulazione alcune delle istanze avanzate dai pionieri del rinnovamento artistico di fine Ottocento: dal bisogno di sperimentare un linguaggio aderente alla coscienza moderna, fino alla sfida del coinvolgimento simpatetico con l’osservatore». Il «cardine» di questo sviluppo è Gaetano Previati, ferrarese di nascita e figura importante delle collezioni delle GAMC. Attorno a Previati e Segantini vengono radunati altri protagonisti della stessa stagione (Pellizza da Volpedo, Morbelli, Medardo Rosso) e quindi i loro eredi della generazione avanguardista (Balla, Carrà, de Chirico e Russolo). Inoltre, nel periodo considerato l’Italia è un contesto per molti versi attardato e problematico ma comunque ricettivo e aperto al dialogo con l’estero; da qui l’opportunità di inserire una selezione di artisti stranieri, quali Rodin, Redon, Dante Gabriel Rossetti, Von Stuck, Klimt, Munch, Eugène Carrière, Max Klinger. In tutto, sono proposte oltre settanta opere di assoluto valore, tra cui alcune che non capita spesso di vedere dal vivo – come il tassello tagliato di Asfissia! (1884) di Morbelli, le illustrazioni di Previati per i racconti di Poe, o Il sogno (1908-’09) di Boccioni –, di autori perlopiù di spicco ma anche di personalità meno note, tra cui Vittore Grubicy, Alberto Martini, Luigi Conconi o Mario de Maria. Nessuna presenza femminile, però; quasi che le donne in Italia e in Europa partecipassero alla vita psichica fin de siècle solo in quanto più o meno ipocritamente sublimata fantasia erotica dell’eroico genio maschile.
Per documentare la molteplicità di fonti che possono aver contribuito a plasmare la poetica degli stati d’animo, la mostra allarga la contemplazione delle opere attraverso materiali utili ad apprezzare la circolazione delle idee in quegli anni: ad esempio, con estratti dall’Atlante dell’uomo delinquente di Cesare Lombroso e con foto degli esperimenti di elettrofisiologia del neurologo francese Guillaume-Benjamin-Amand Duchenne. L’allestimento progettato dallo Studio Ravalli è sobrio e integra con equilibrio videoproiezioni e sottofondi musicali; tuttavia, non sempre la dimensione delle sale è ottimale alla presentazione delle opere, che talvolta paiono compresse in spazi troppo angusti. Limiti strutturali.
È palese lo sforzo dell’esposizione di offrire più livelli di lettura e di risultare accessibile al grande pubblico senza rinunciare per questo all’approfondimento critico di taglio specialistico. L’iniziativa è lodevole, perché persegue un obiettivo ambizioso assumendosene i rischi e accettando il confronto, apparentemente impari, con altri musei o gallerie favorite dalla loro posizione in grandi città. D’altronde, molti di questi musei vivacchiano di rendita, riciclano idee e format, puntano sull’intrattenimento – qualcuno semplicemente farnetica, facendo della più grande collezione dell’Ottocento italiano un arredo per vetrinistica.
Anche se gioca la carta della suggestione, invitando «alla scoperta dei territori dell’anima», la rassegna ferrarese non pecca di superficialità e denota un grande lavoro di preparazione. Però è dispersiva. A fronte di un innegabile impatto visivo, la ricostruzione di una «turbolenta temperie storica e culturale» stenta a definirsi con nitidezza; e ciò non per difetto, bensì per eccesso di stimoli. Se, ad esempio, i motivi iconografici della paura, dell’isteria oppure dell’euforia sono immediatamente riconoscibili e attinenti, il nesso con il tema della maternità appare meno stringente. Per recuperare una chiave di lettura onnicomprensiva bisogna allora supporre una nozione lasca di grammatica dei sentimenti, un passe-partout sotto cui rubricare soggetti disparati (vitalismo, ideismo, socialismo, empatia, Gesamtkunstwerk, estasi…), tutti pertinenti e correlati, certo, ma troppi da assimilare con profitto. Nonostante il numero non abnorme dei pezzi esposti, infatti, il filo del ragionamento talvolta si sfrangia nella ricchezza di spunti che l’ordinamento tematico avalla; così che lo spettatore desideroso di andare oltre la seduzione dell’immagine è costretto a cercare nel catalogo il senso delle scelte curatoriali.
Il catalogo (Fondazione Ferrara Arte editore, pp. 372, euro 48,00), a proposito, rispecchia erudizione e aspirazione dei curatori: prodigo di immagini, non è un semplice souvenir dell’evento e contiene saggi interessanti e validi apparati. Eppure una maggiore concisione avrebbe sicuramente giovato.
Stati d’animo prova a delineare con dovizia di particolari un fenomeno ampio. L’esito è carezzevole. Strada facendo, però, il discorso si avvita nelle trame della rievocazione, quasi compiaciuto di sprofondare dolcemente in una sospensione lirica, come la giovane effigiata nel Ricordo di un dolore di Pellizza nell’immagine di copertina.