Absorbing modernity 1914-2014 è il tema comune che Rem Koolhaas, curatore della XIV Biennale di Architettura di Venezia, ha affidato alle partecipazioni nazionali. A differenza delle precedenti edizioni, i vari padiglioni non presentano autonomamente le proprie ricerche, ma sono invitati a declinare, nei relativi contesti, il processo di assimilazione dell’architettura moderna. Innesti è il titolo del padiglione italiano che spiega, con una metafora biologica, la modalità con cui in Italia il nuovo si è progressivamente insediato nel tessuto consolidato. A scanso di equivoci il curatore Cino Zucchi chiarisce fin da subito il significato del termine, offrendone un esempio nell’archimbuto, un arco in metallo da lui disegnato all’ingresso del padiglione, che s’inserisce come elemento aggiunto nel portale esistente.

La chiave di lettura dello scenario italiano risiede nel continuo confronto con l’esistente, nell’impraticabilità della tabula rasa e nell’esigenza di sviluppare, di volta in volta, nuove dialettiche tra preesistenza e innovazione. La parte iniziale del padiglione è dedicata alla presentazione di alcuni progetti di Milano. Piazza Duomo e altri luoghi vengono descritti come spazi mutanti, colti nei loro continui aggiustamenti e adattamenti a condizioni «trovate» e a situazioni contingenti. Un ricco atlante di materiali vari, progetti incompiuti, vignette satiriche, articoli di cronache e fotografie descrivono le vicende e i protagonisti che hanno portato alla trasformazione da uno stadio iniziale all’immagine attuale della piazza.

Nella stessa sala un plastico della città, apparentemente bianco e monolitico, si accende progressivamente con luci colorate, mostrando i vari strati che costituiscono il palinsesto urbano: dalla trama delle acque, alle linee del verde, al tracciato della città romana, di quella medievale e del Piano Portaluppi del primo Novecento.

Alla chiarezza di questo racconto della storia recente non corrisponde altrettanta efficacia nella seconda parte del padiglione, Un paesaggio contemporaneo, che espone su grandi superfici inclinate una numerosissima serie di fotografie di «innesti» di progettisti contemporanei. «Architettura, non architetti», ha annunciato Koolhaas nella presentazione di questa Biennale, ma l’assenza di qualunque nota in prossimità delle foto, e soprattutto il numero eccessivo di progetti restituiscono un’immagine anonima e vaga dello scenario architettonico italiano. Molto più interessante, sempre nella stessa sala, la sezione Ambienti cut and paste: un lavoro sulla tecnica del collage, del montaggio, in cui una composizione di quadri a parete mostra, nei singoli frammenti, la potenzialità progettuale e figurativa di rielaborare immagini e produzioni grafiche, trasformandole in altro.

L’attenzione alle storie pregresse e il recupero dei materiali esistenti costituiscono le questioni emergenti del padiglione e, in generale della scena attuale del progetto italiano; elemento concomitante a tale condizione è un atteggiamento di chiusura, di inibizione degli slanci verso il futuro. Nella sezione del padiglione dedicata all’Expo2015, le visioni del post evento affidate a cinque studi di architettura restituiscono un atteggiamento molto controllato nella prefigurazione dei tempi a venire. L’unica proposta provocatoria, quantomeno nella costruzione di un immaginario, è quella che trasforma l’area dell’Expo in un nuovo, ampio cimitero: un’immagine del futuro generata da un innesto, sovrapposto a tracce preesistenti, stratificato su storie precedenti.