Una scalinata che si tuffa nel «mondo di sotto», punteggiata da lussureggianti piante che annunciano un prezioso ambiente ipogeo e, a parete, una stele elettronica che ricorda i nomi dei medici caduti nell’esercizio della loro professione per tentare di arginare la pandemia. Quei gradini conducono al museo Ninfeo di piazza Vittorio che si dipana nei sotterranei dell’Enpam, ente previdenziale di medici e dentisti: è stato durante la costruzione dell’edificio che sono tornate alla luce le rovine dei vastissimi Horti Lamiani, area mitica della Roma antica che si estendeva lungo il colle Esquilino. Gli scavi – e il lavoro in sinergia della soprintendenza speciale di Roma con l’istituzione dell’Enpam – hanno restituito una intera «quinta teatrale» (lussuosissima) di quella quotidianità oziosa così praticata dagli imperatori.

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IL MUSEO – allestito con la direzione scientifica di Mirella Serlorenzi e presentato ieri alla stampa insieme a Daniela Porro della Soprintendenza speciale e Alberto Oliveti, presidente Enpam – permette di mostrare nel contesto originario parte dei milioni di reperti ritrovati. Tredici sezioni raccontano la storia degli Horti, trasformatisi presto in un paradiso privato di Caligola dato che fin dall’epoca di Tiberio erano entrati a far parte del demanio imperiale (saranno amatissimi anche dai Flavi e gli Antonini fino ai Severi cui si attribuiscono le ultime modifiche degli ambienti, sempre sul sentiero dell’opulenza). Sono circa tremila gli oggetti disposti in maniera permanente nelle teche e nei cassetti apribili del nuovo museo; gli altri sono custoditi in un deposito-laboratorio, dove si conducono ancora studi, come sta avvenendo da quattro anni sui novantamila frammenti di decorazioni parietali.
La narrazione di una Roma dedita non soltanto alle conquiste militari ma anche ai piaceri e alle sorprese visive – da lontano si vedevano solo le piante boschive, il giardino accogliente anche dipinto e simulato, ma avvicinandosi ed «entrando» si dispiegava la ricchezza di affreschi, intarsi scintillanti marmorei, giochi d’acqua con fontane, impressionanti mascheroni – è affidata a ricostruzioni in video, pannelli esplicativi (c’è anche la «biografia» della stratificazione del quartiere), e al ricordo dello sfarzo che caratterizzava quell’unicum rappresentato dagli Horti Lamiani (il cui nome deriva dal loro primo proprietario, Lucio Elio Lamia). Un microcosmo di ozio, ha spiegato Serlorenzi, dove «l’imperatore riproponeva gli elementi fondanti della città, come il Foro».

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NELLO SPAZIO APERTO, una piazza ninfeo circondata da mura – che hanno resistito così tenacemente al tempo trovandosi a un livello più basso rispetto al successivo sviluppo della città, non altrettanta fortuna hanno avuto le vestigia medievali – crescevano piante di ogni tipo, circolavano le merci di molti paesi del mondo, si citavano nelle decorazioni i monumenti più iconici di Roma e circolavano animali selvaggi. Lo testimoniano il dente di orso e zampa di leone rinvenuti. Non erano certo autoctoni, ma funzionali ai giochi che l’imperatore allestiva «imitando» quelli del Colosseo.
Il museo Ninfeo è visitabile il 30 e 31 ottobre gratuitamente (prenotazione obbligatoria) e poi dal 6 novembre, tutti i fine settimana con big