Gli hacker possono favorire la trasformazione digitale e i governi dovrebbero aiutarli a farlo. Questo passaggio della relazione della ministra Paola Pisano durante la conferenza CybertechLive Europe riassume abbastanza bene la filosofia della cybersecurity moderna.

C’è la consapevolezza che il «rischio zero» non esiste, che nessuno si salva da solo, che la sicurezza è un lavoro di squadra e che il pensiero laterale, l’autonomia e la cooperazione competitiva tipiche della «cultura hacker» sono necessarie alla società come l’acqua per le piante.

La ministra dell’Innovazione ha anche parlato del capitale umano come fattore abilitante di un approccio strategico al digitale e dell’importanza di affrontare lo «skill shortage», la carenza di competenze, per realizzare la trasformazione digitale mettendo al centro sicurezza e privacy. Perciò ha chiamato in causa gli hacker.

Ha detto altre due cose che sono condivisibili per chi lavora nel settore: ogni investimento nella gestione della sicurezza, culturale e produttivo, serve a proteggere gli asset più importanti del paese e per questo anche gli impiegati pubblici nel prossimo futuro saranno valutati in base alla capacità di gestire minacce e crisi informatiche.

Paola Pisano ha anche parlato di crescita della consapevolezza delle minacce informatiche e sulla cooperazione internazionale ha fatto sponda ad altri due illustri ospiti dell’evento: il prof. Roberto Baldoni e Yigal Unnah del Cyberdirettorato israeliano.

Per questo è un peccato che i quotidiani italiani abbiano dedicato così scarsa attenzione all’evento, organizzato in collaborazione con Leonardo e Accenture.

Roberto Baldoni, il professore universitario prestato ai servizi segreti italiani per occuparsi di ridisegnare l’ecosistema cyber italiano, ricostruendo i rapporti prima laschi con i partner europei, insiste da sempre sul tema della formazione e della cultura della cybersecurity.

Al Cybertech ha ricordato il lavoro fatto per la Direttiva sulla sicurezza delle infrastrutture, Nis, la nascita del Centro nazionale di risposta agli attacchi informatici (Csirt), e la messa a regime l’anno prossimo del Perimetro nazionale di Sicurezza Cibernetica.

Prima di lui, Margaritis Schinas della Commissione Europea ha parlato dell’importanza di uno sforzo congiunto per garantire – come ha pure detto Alessandro Profumo di Leonardo -, la sicurezza di un’Europa che sia una casa di tutti ma con mura robuste, garantendo la resilienza delle infrastrutture critiche di fronte al terrorismo e ad altre minacce ibride, compreso il «cybercrime» che, diciamo noi, oggi sempre di più si fonde con il «cyber-espionage».

Schinas ha ribadito che la «cybersecurity» è al centro della sicurezza, visto che il «cybercrime» è cresciuto durante la pandemia, che le infrastrutture critiche sono state colpite e che il 97% degli europei è stato bersaglio di «fake news» e disinformazione, un problema cibernetico, come abbiamo spiegato più volte su queste pagine.

Ma, più importante di tutti, ha ricordato che il «cybercrime» cuba 5,5 trilioni di euro annui e che nessuno in Europa deve essere l’anello debole della catena della sicurezza.

Perciò, rivedere la NIS, investire nel 5G e garantire la connettività, spina dorsale della nostra economia, è fondamentale tanto quanto i centri di competenza cibernetici per sviluppare una capacità industriale e tecnologica in grado di garantire il nostro stile di vita, investendo sempre di più in quella che si definisce cybersecurity by design perché: «Security e cybersecurity sono cruciali per costruire un ecosistema europeo sicuro».