«Mandato esplorativo» previsto, ma questa strana legislatura propone comunque una novità, quella dell’esploratore «preferenziale». Nel pomeriggio infatti il centrodestra aveva fatto presente a Mattarella che avrebbe gradito di più un incarico esplorativo affidato Elisabetta Casellati. La presidente del senato, eletta da Forza Italia, lo aveva già assunto il 18 aprile del 2018 quando il presidente della Repubblica le chiese di verificare la possibile alleanza M5S-Centrodestra. Casellati lasciò il mandato inconcluso (a Berlusconi e Salvini serviva altro tempo per separarsi senza rompere) e allora entrò in campo Roberto Fico, anche lui con mandato limitato: verificare la possibile alleanza tra M5S e Pd. Fico quella volta svolse il lavoro in tre giorni (adesso ne avrà quattro) e terminò dicendo che l’esplorazione aveva avuto un esito «positivo» e che «il dialogo è avviato». Ma fu un eccesso di ottimismo, pochi giorni dopo il segretario del Pd Martina chiuse a ogni accordo con i 5 Stelle e (con qualche fatica) nacque il primo governo Lega-5 Stelle. Per l’abbraccio tra grillini e democratici al quale Fico è stato tra i primi a credere nel Movimento bisognerà attendere la crisi del Conte uno e la nascita del Conte due.

Il mandato esplorativo che è sempre stato affidato al presidente del senato o della camera – con l’incarico di ieri, il decimo nella storia repubblicana, si pareggia il conto, cinque al presidente dei deputati e cinque a quello dei senatori – serve ad aiutare il capo dello stato nella soluzione della crisi. Utile soprattutto in crisi extra parlamentari (come tutte o quasi) perché le ragioni della rottura non sono venute allo scoperto nelle aule (anzi, Conte aveva appena ricevuto la fiducia di entrambe). Per questa ragione l’incarico viene affidato a una personalità teoricamente sopra le parti che non «esplora» per suo conto, diversamente da quanto avrebbe fatto un presidente del Consiglio pre-incaricato.

Fico ha ricevuto un incarico con un vincolo assai preciso, la possibilità di far nascere un governo «politico» (escluse soluzioni istituzionali o ponte che eventualmente Mattarella verificherebbe direttamente) con una maggioranza «composta a partire dai gruppi che sostenevano il precedente governo». A partire allude al possibile allargamento a quei (fin’ora pochissimi) «responsabili» che volessero manifestarsi. Ma il nodo è il recupero di Renzi e questo spiega ancor di più la scelta di Fico come esploratore, visto che le maggiori resistenze al ritorno alla «maggioranza precedente» sono proprio nei 5 Stelle. Nel caso i grillini si spaccassero il problema resterebbe aperto.

Tre mandati «esplorativi» nella stessa legislatura, questa, non si erano mai visti. I primi due si sono conclusi senza successo ma questa volta le condizioni di partenza sembrano migliori. Come gran parte delle procedure che portano alla formazione dei governi, è più la prassi che la Costituzione a indirizzare le mosse. Fino a oggi nella cosiddetta «seconda Repubblica» i mandati esplorativi sono sempre finiti in nulla, prima del doppio tentativo Casellati-Fico del 2018 c’era stato quello del presidente del senato Marini nel 2008 tra la caduta del secondo governo Prodi e le elezioni anticipate. Fallirono anche le «esplorazioni» di Morlino nel 1982 e di Pertini nel 1968, a vuoto in un certo senso anche il tentativo di Nilde Iotti nel 1987 perché il governo Fanfani che ne venne fuori non ebbe la fiducia delle camere. Ma c’è una curiosa similitudine tra questa crisi e quella del 1957 che vide l’esordio della figura dell’esploratore, allora il presidente della Repubblica Gronchi inventò la funzione per il presidente del senato Merzagora. Anche quella crisi di governo, presidente del Consiglio Adone Zoli, si determinò per un solo voto di fiducia in meno e dopo l’esplorazione di Merzagora si risolse con lo stesso presidente del Consiglio, ancora Zoli, e la stessa maggioranza (monocolore Dc). Tanto che alcuni costituzionalisti parlarono poi di pseudo-crisi. E l’Unità dell’epoca subito sferzò: «Le esplorazioni un tempo si facevano nelle terre vergini, ma di vergine non c’è davvero nulla in campo centrista», scrisse Luigi Pintor.