Da quando Jair Bolsonaro è diventato Presidente del Brasile, nel 2019, la deforestazione amazzonica è aumentata di oltre il 75 per cento, insieme agli incendi forestali e alle emissioni di gas serra nel Paese sudamericano. A quantificare i crescenti impatti negativi causati dal sistematico smantellamento della protezione dell’ambiente e dei diritti umani da parte del governo Bolsonaro è il rapporto “Dangerous man, dangerous deals” di Greenpeace, basato sui dati raccolti dall’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE). Nel rapporto emerge che nel 2019, anno in cui Bolsonaro entrò in carica, il tasso annuo di deforestazione in Amazzonia era di 7.536 km2. Tre anni dopo, l’INPE ha annunciato che, tra agosto 2020 e luglio 2021, sono stati distrutti 13.235 km2 di Amazzonia: un aumento del tasso di deforestazione di oltre il 75 per cento rispetto al 2018. L’inesorabile peggioramento si presagiva già durante il primo anno di governo, in cui la deforestazione in Amazzonia era aumentata del 34% rispetto al 2018, passando da 7.536 km2 a 10.129 km2 di foresta distrutta. L’impunità che ha accompagnato l’aumento della deforestazione si è tradotta anche in un drammatico aumento degli incendi, spesso appiccati illegalmente per favorire l’espansione dell’agricoltura industriale e del settore estrattivo e per fare spazio a piantagioni, pascoli, infrastrutture e miniere.

I dati triennali diffusi dall’Inpe mostrano un incremento del 15 per cento di incendi nel Cerrado, la savana più ricca di biodiversità del pianeta, e del 218 per cento nel Pantanal, la zona umida più grande del mondo.

Questi incendi hanno un impatto negativo anche sul clima causando il rilascio di grandi quantità di gas a effetto serra. I dati raccolti dal Greenhouse Gas Emissions and Removals Estimating System, un progetto sviluppato dall’Osservatorio sul clima brasiliano, costituito da oltre 50 ONG, mostrano che le emissioni di gas serra in Brasile sono aumentate del 9,5% dall’entrata in carica di Bolsonaro. Nell’anno successivo, il 2020, il Brasile ha emesso 2,16 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, la quantità più elevata dal 2006.

A tutto ciò si aggiunge un considerevole aumento dei conflitti per la proprietà delle terre e delle violazioni dei diritti umani in Brasile. I dati diffusi dalla Commissione Pastorale per la Terra mostrano che i primi due anni del governo Bolsonaro sono stati caratterizzati da un aumento di circa il 40 per cento del numero di conflitti per le terre, che in molti casi sono sfociati nella morte di coloro che si sono spesi per difenderle. Nel 2020 erano infatti in corso circa 1.576 controversie riguardanti la proprietà dei terreni (poco meno della metà riguardano Popoli Indigeni), il numero più alto dal 1985. Negli ultimi due anni l’indice di gradimento di Bolsonaro è stato trascinato verso il basso da una serie di scandali e accuse di corruzione che hanno riguardato lui e il suo entourage politico. Basti pensare alle dimissioni dell’ex ministro dell’Ambiente Ricardo Salles, indagato dalla Corte suprema per aver interferito nelle indagini sulle esportazioni illegali di legname. Nonostante ciò e nonostante le politiche del presidente brasiliano abbiano peggiorato le condizioni di ecosistemi preziosi e dei Popoli Indigeni che lottano per proteggerli, l’Unione europea ha continuato a fare affari con il Brasile. Non solo, l’Ue ha anche rispolverato l’accordo commerciale Ue-Mercosur, che rischia di inondare il mercato europeo di prodotti legati alla deforestazione e alla violazione dei diritti umani, come la carne, favorendo settori che aggravano la crisi climatica. Per evitare che questo avvenga, con una petizione rivolta all’Ue, Greenpeace sta chiedendo di fermare questo accordo e di sostenere l’adozione di una normativa europea rigorosa ed efficace in grado di eliminare la deforestazione dalle catene di approvvigionamento dell’Ue. La prima bozza della normativa europea per le foreste, presentata dalla Commissione Ue lo scorso novembre, presenta delle lacune che vanno colmate. La lista di prodotti e materie prime stilata dalla Commissione, ad esempio, non include carne di maiale, carne di pollo, gomma e mais, la cui produzione è legata alla distruzione di foreste ed ecosistemi. Inoltre, la proposta rischia di ignorare altri ecosistemi cruciali, come le savane e le zone umide e non considera il rispetto delle normative internazionali per la tutela dei diritti umani tra i requisiti per immettere i prodotti sul mercato comunitario, lasciando i Popoli Indigeni e le comunità forestali tradizionali esposti ad abusi e violenze. C’è ancora margine per migliorare la normativa e aumentare la sua efficacia prima dei negoziati tra Parlamento europeo e ministri nazionali. La petizione di Greenpeace si può firmare su foreste.greenpeace.it.

* Campagna foreste Greenpeace Italia