Nella sezione Histoire(s) du cinéma, in cui il Festival di Locarno accoglie titoli che interrogano le forme del cinema, è stato presentato The Case Of The Vanishing Gods del cineasta e restauratore di pellicole statunitense Ross Lipman, un «essay film» sui generis, una fantasmagoria nera sul rapporto tra cinema e ventriloquio in cui il teatro delle marionette incontra l’animazione e la tragedia greca sconfina nell’horror.

Esperto nel riportare a nuova vita il cinema delle origini e indipendente, da Cassavetes a Kenneth Anger fino al recente Juniper Tree di Nietzchka Keene, nel 2015 Lipman ha anche firmato Not Film, documentario sulla lavorazione dell’unico film mai scritto da Samuel Beckett nonché ultima prova di Buster Keaton.

Anche questo nuovo progetto nasce nell’ambito della sua attività di studioso ma compie un passo verso la finzione: «un’amica che gestisce uno spazio underground a Los Angeles sapeva che stavo facendo ricerche su film o prodotti tv in cui compaiono ventriloqui e mi ha chiesto di tenere una lezione. Ho pensato di cogliere l’occasione per elaborare sul tema un vero e proprio film. Ritengo però che un «essay film», per quanto strano come il mio, sia più interessante se non si limita a ‘parlare di qualcosa’ ma è autonomo, ha un valore in sé. Ecco perché mi è venuta l’idea di inserire le sequenze che avevo raccolto in una cornice narrativa».

COME nello storico telefilm The Twilight Zone, in cui un narratore-ospite si rivolge al pubblico per introdurre la vicenda, lo psicoanalista e ipnotista doctor Labyrinth narra di aver ricevuto nel suo studio Hugo, tormentato da incubi in cui è una marionetta manovrata da un ventriloquo. I due tentano di comprendere e alleviare la sua angoscia con sedute di psicoanalisi e ipnosi. Durante la trance, il film entra in una dimensione a cavallo tra storia, spiritualità e inconscio che, attraverso scene animate con tecniche diverse, si avventura alle origini stesse del ventriloquio.

Quella che i greci chiamavano «gastromanzia» era infatti una pratica oracolare che, oltre a predire il futuro, si riteneva desse anche voce ai morti. Nel XIX secolo, con la nascita dei luna park, tale pratica si trasforma in intrattenimento. Il ventriloquo diventa un’attrazione, un fenomeno da baraccone, eppure rimane qualcosa di inquietante nella coppia uomo-marionetta e sarà il cinema a dispiegare tutto il potere destabilizzante di una raffigurazione dell’uomo e del suo doppio che già il romanzo gotico o decadentista avevano colto.

PROCEDENDO per associazione libera, Lipman passa dalle marionette agli automi parlanti, cuce insieme i sudori freddi de Il trio infernale (1925) con Lon Chaney e gli agguati infernali di Chucky la bambola assassina passando per Magic (1978) con Anthony Hopkins.

Il cinema è quel teatro dell’irrazionale in cui si muovono fantasmi, si proiettano desideri e paure recondite. Sempre Lipman ha infatti spiegato: «il film è un dialogo tra conscio e inconscio così come nel mio lavoro c’è un dialogo tra razionalità – tutta la parte archivistica di studio e di conservazione – e la parte creativa in cui gioco con l’associazione tra le miriadi di immagini che mi capita di scovare». In questa riflessione sul perturbante, sui limiti del finto e del vero, Freud è un riferimento esplicito: «Volevo che le marionette interpreti del mio film fossero perturbanti, finte ma significative».

The Case Of The Vanishing Gods vuole essere parte di una serie intitolata The Psycho Ward: «Nel prossimo capitolo di questa saga, che dovrebbe intitolarsi The Prometheus Complex, vorrei esplorare ulteriormente lo spazio intermedio tra fake e deep fake, tra qualcosa di evidentemente artificiale e una ricostruzione del vero così simile al vero da non riuscire a essere distinguibile come vita artificiale. Ho poi già pronte molte sequenze di film robot e androidi, dal Golem a Frankenstein in avanti. Se troverò i soldi, intendo realizzare una quadrilogia».