Il clima mondiale cambia velocemente ma la politica e l’economia internazionale non vogliono proprio cambiare nulla. E non importa se la natura si sta ribellando con tutta la sua forza dalle Filippine ai tornado americani, passando per la Sardegna. Ieri le associazioni ambientaliste hanno lasciato in massa Cop19, la conferenza sul clima che si sta svolgendo in questi giorni a Varsavia. E’ la prima volta che succede dal summit di Rio de Janeiro del 1992, ovvero dall’inizio di quel lungo negoziato che ha portato alla ratifica del protocollo di Kyoto ma che non ha mai saputo produrre un’azione efficace su scala planetaria per limitare le emissioni di gas serra.
“La conferenza si avvia a offrire praticamente il nulla”, hanno dichiarato Greenpeace, Wwf, Friends of The Earth e molte altre associazioni. Insieme hanno deciso di “usare meglio il proprio tempo e ritirarsi volontariamente dai colloqui”. Si tratta di un gesto politico e di denuncia molto forte che a questo punto, vista l’inconcludenza interessata dei governi, punta a mobilitare le popolazioni. Ieri gli ambientalisti hanno srotolato uno striscione sul palazzo della cultura della capitale polacca. La conferenza, denunciano, “ha messo al centro gli interessi delle industrie energetiche sporche”.

Cop19 doveva essere una tappa fondamentale per lanciare la prossima conferenza del 2015 a Parigi dove è in programma la firma di un accordo comune per tentare di ridurre l’innalzamento della temperatura globale di soli due gradi in più rispetto all’era preindustriale. Obiettivo: scongiurare un disastroso aumento di 4 gradi entro la fine del secolo che, secondo tutti gli studi scientifici, appare ineluttabile e catastrofico. Tanto più adesso che anche la conferenza di Varsavia sembra viaggiare su un binario morto. Lo ammette anche Matthias Groote, l’europarlamentare tedesco a capo delle delegazione del parlamento europeo, il quale non nasconde un “un crescente senso di frustrazione e preoccupazione per i pochi risultati raggiunti finora”.

L’imminente fallimento è dovuto prima di tutto all’atteggiamento ostile del governo polacco che condiziona fortemente tutti i paesi dell’Europa dell’est e quindi anche dell’intera Ue. L’economia della Polonia dipende molto dal carbone. Non a caso proprio in questi giorni a Varsavia si è tenuto un summit mondiale delle industrie carbonifere. E a sorpresa il premier polacco Donald Tusk ha rimpiazzato il ministro dell’ambiente Marcin Korolev che sta ancora guidando i negoziati sul clima pregiudicandone il buon esito. Le riunioni che avrebbero dovuto risarcire i paesi colpiti dai disastri dovuti agli sconvolgimenti del clima si sono concluse con un nulla di fatto. “I paesi ricchi si rifiutano di impegnarsi”, denunciano gli ambientalisti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il passo indietro sugli impegni per le riduzioni di emissioni dei gas serra da parte di Giappone, Canada e Australia su spinta delle lobby delle industrie di combustibili fossili.

La storia dei negoziati internazionali per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici è da sempre segnata dall’aspro confronto tra i paesi storicamente industrializzati (gli Stati uniti sono il primo inquinatore mondiale) e le nuove nazioni in forte crescita (la Cina è il secondo inquinatore mondiale) le quali rivendicano il diritto allo sviluppo e dichiarano di non poter pagare i danni prodotti da chi ha inquinato per cent’anni prima di loro. “Il punto è che tutte queste trattative a Varsavia dovevano dare vita a un’agenda chiara e precisa per preparare in modo credibile l’appuntamento del 2015 a Parigi – spiega Andrea Boraschi, responsabile della campagna su energia e clima di Greenpeace Italia – Ma questo non sta avvenendo”.