Quando, negli anni ’70 del secolo scorso, la casa editrice torinese Edt chiese a diversi storici della musica di scrivere ciascuno un manualetto dedicato a un periodo o a un secolo, Alberto Basso scelse l’epoca che va dal secondo seicento al primo settecento e chiamò il volume L’età di Bach e di Handel. Se Basso fosse stato uno storico (non amava essere chiamato musicologo) del Settecento avrebbe titolato il libro: L’età di Pergolesi e di Corelli, oppure L’età di Porpora, di Galuppi, e Bononcini. I compositori italiani erano infatti il modello di come si scrive la musica, soprattutto per il teatro, ma anche per la musica strumentale: Corelli era il maestro indiscusso di tutti. Proprio Basso, nel libro, spiega perché noi oggi la pensiamo diversamente. Fieri di questa supremazia, i compositori italiani non si interessarono della musica che si scriveva negli altri paesi, e persero il loro primato. Il compositore preferito di Metastasio era un tedesco, Johann Adolf Hasse. Che un tedesco si mostrasse più italiano degli italiani avrebbe dovuto destare l’allerta.

Ma non accadde. E gli italiani potevano perciò anche arricciare il naso per la musica di un Mozart (Sarti lo credeva poco più che un dilettante). Mozart e poi Beethoven si imposero sul gusto. Tuttavia il prestigio degli italiani restava tale: Beethoven e poi Schubert chiesero lezioni di composizione a Salieri. Nicola, o Nicolò, Porpora furoreggiava in tutta Europa, e Haydn fu per qualche tempo suo allievo, quando il musicista napoletano soggiornò a Vienna. Nelle lettere lamenta il fatto di venire trattato con arroganza, dice che Porpora gli chiedeva di portargli il caffè a letto. Che musicista era, però, se uno come Haydn sentiva il bisogno di prendere da lui lezioni di composizione! La registrazione di un cd, appena pubblicato da Glossa (Porpora, Music for the Venetian Ospedaletto. Josè Maria Lo Monaco, Stile Galante, Stefano Aresi, € 21,85, Amazon) ce lo può confermare: l’ascolto della musica, soprattutto religiosa, e tutta in latino, del breve periodo veneziano è non solo gradevole ma illuminante. E c’è anche un bellissimo concerto per violoncello in sol maggiore (splendida, sensibilissima interprete Agnieszka Oszanca). Si capisce, da questo ascolto, cosa affascinasse il pubblico dei teatri, delle chiese e delle sale di concerto di allora: la costruzione mirabilmente equilibrata di una linea melodica, calcolati con capillare precisione i punti di tensione e di distensione, l’arco di espansione dei diversi registri vocali e strumentali, la raffinatezza della varietà ritmica e degli abbellimenti che non sforzano la natura dello strumento, né, soprattutto, della voce, adeguandovisi con naturalezza. Proprio questa naturalezza sia melodica sia ritmica era ricercata da parte dei musicisti stranieri che la ritenevano una qualità tipica dei compositori italiani. Oggi le melodie di Bach ci fanno trasalire assai più di quelle di Porpora, ma è indubbio che appartengono a un’altra dimensione.

Il confronto, più che scorretto è improponibile: sono due mondi diversi. Nel bellissimo Salve Regina, per esempio, l’armonia è tutt’altro che banale, senza avventurarsi in zone inusitate. Il canto aderisce alla dizione in maniera perfetta e le fioriture non disturbano, anzi esaltano i momenti «affettivi». Anche quando la musica è strumentale l’intento è quello di ricercare una melodia che colga l’«affetto» giusto, e ne dia la più coinvolgente rappresentazione. L’attacco del concerto per violoncello realizza questa ricerca in maniera sublime, la melodia ruota su sé stessa come canto senza inizio e senza fine; ma la fine arriva, e sta nella riesposizione del violoncello. Il resto è all’altezza di questo inizio. Stefano Aresi guida il complesso Stile Galante nel rispetto della prassi dell’epoca, ma con il gusto tutto moderno che consiste nel farne sentire, anche, la profonda e penetrante espressività, costruita con una sovrana e sapiente libertà di scrittura.