Marco Bussone è il presidente di Uncem, l’Unione nazionale dei comuni e degli enti montani, l’associazione che da oltre 70 anni promuove e rappresenta gli interessi della montagna, a partire dall’articolo 44 della Costituzione che riconosce una «specialità» delle zone montane, stabilendo anche l’esigenza di disporre, per legge, provvedimenti a favore delle stesse. Difendere l’abitabilità di Alpi e Appennini è una della battaglie culturali condotte da Uncem, che dal 2019 a più riprese sta segnalando anche l’esigenza di un «diritto al telefono», inteso come mezzo per comunicare ma anche per una connessione sicura, continua ed efficace con l’esterno. «Italia senza segnale» è la campagna promossa a più riprese dall’associazione per mappare dal basso i territori in cui questo diritto non è pienamente disponibile.

Perché Bussone rinnovate l’invito a compilare il questionario?
La premessa, doverosa, è che non esistono mappature sul divario digitale, con dati qualitativi e quantitativi: sono state fatte alcune analisi prima di lanciare il piano per la Banda Ultra Larga, nel 2016, il Piano Italia 5G e Piano Italia 1 giga, nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma sono parziali, fatte dagli operatori. Per noi, però, è fondamentale capire quali siano i territori con questo gap, e anche se le nostre analisi non sono scientifiche, ma si basano su dati forniti da cittadini, sono utili a capire qual è il sentire di coloro che vivono la montagna e anche dove ci sono le situazioni più gravi, questo anche per far sì che le risorse che lo Stato sta investendo con il Pnrr sul tema della riduzione del divario digitale possano incrociare la nostra mappatura.

Qual è il vostro obiettivo?
Supportare lo sforzo che sta sostenendo il Dipartimento per la trasformazione digitale, incoraggiato dal Sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione Alessio Butti, che è informato del nostro lavoro, che è complicato. L’obiettivo non è fare scandalo, sappiamo che siamo malmessi. Per questo siamo anche dialogando con Inwit, che è la società con il più importante «parco torri» per telefonia e connettività del Paese (vedi box), per provare a valutare insieme dove indirizzare gli investimenti.

Perché oggi ci troviamo in questa situazione?
Dagli anni Novanta al 2015 in pochi si sono preoccupati, tanto a livello statale e regionale quanto a livello d’impresa, di intervenire laddove non era remunerativo, nelle cosiddette aree bianche a fallimento di mercato. Solo nel 2016 lo Stato ha capito l’importanza di investire con fondi pubblici laddove i privati non arrivano. Questo non è ovviamente un’operazione facile e nemmeno a breve raggio temporale. Il Piano per la Banda Ultra Larga ha mosso quasi 2 miliardi di euro per cablare il Paese o usare la tecnologia Fixed Wireless Access (che sfrutta le onde radio), ma scontiamo il ritardo con cui questi investimenti sono partiti.

Una situazione già vista, sottolineata da chi ha una lunga esperienza di vita da montanari.
È successo lo stesso con le strade, all’inizio del Novecento, e poi anche con l’energia elettrica nel secondo dopoguerra: «L’Italia senza segnale» è lo stesso film, anche se cambia soggetto, oggi è il digitale. Stiamo comunque parlando di infrastrutture di rete, e come nel caso del reticolo stradale ed energetico all’inizio viene pensato solo dove era remunerativo. Solo negli anni Sessanta si capì che erano un diritto che si doveva dare a tutti.

Nei Comuni delle aree interne vivono oltre 12 milioni di italiani, che non sono pochi.
E infatti molti operatori hanno capito la sfida. Penso ad esempio a EOLO o a BBBell, che hanno scelto di investire anche in quei comuni dove lo stato non era arrivato, arrivandoci prima. Questi esempi confermano che non è da sfigati operare nelle aree bianche, ma può essere una precisa linea di intervento, dei privati come dello Stato. Alcune Regioni, come l’Emilia-Romagna, hanno compreso l’importanza di queste infrastrutture, investendo risorse europee, ma non molte. Ribadisco: la nostra non è un’indagine, ma un’operazione verità. L’obiettivo è risolvere i problemi puntualmente, perché bisogna capire dove e quali sono le problematiche. La mappatura si rivolge allo Stato, alle Regioni e anche ad alcuni enti locali che potrebbero investire migliaia di euro in impianti.