Dopo una lunga assenza, uno scrittore di 34 anni torna a casa per comunicare alla famiglia la sua morte imminente. Cosa accade in quella visita domenicale? Molte sono le insidie celate dalla semplice trama di Giusto la fine del mondo che Jean-Luc Lagarce, affetto da Aids, scrive nel 1990, profetizzando la sua scomparsa, appena trentottenne, con 5 anni di anticipo. Poco conosciuto in Italia, se si considera che Oltralpe è l’autore più rappresentato dopo Molière (e come quest’ultimo era attore e regista), il testo lo mette in scena Luca Ronconi nel 2009, mentre Ubulibri lo pubblica proprio con la traduzione di Franco Quadri, al quale va anche il merito delle giuste parole per questo gioco linguistico.

ORA TORNA con la regia di Francesco Frangipane (al Piccolo Eliseo, fino all’1 marzo), e un quintetto guidato da Anna Bonaiuto nel ruolo della madre vedova, questa «difficile» pièce che, mentre parla di famiglia e di morte, affronta il tema dell’incomunicabilità, cercando una sua propria sintassi, distante dal naturalismo e dal fraseggio quotidiano. La scatola scenografica di Francesco Ghisu si apre all’arrivo di Louis (Alessandro Tedeschi), mostrando quattro zone praticabili forse troppo naturalistiche, salotto, sala da pranzo, camera di Suzanne. Perché più che di un confronto verbale, qui si tratta di esternazioni, del bisogno di dire che provoca solo monosillabiche risposte. La quasi totale assenza di dialoghi, sfocia in continui monologhi sbattuti in faccia all’altro e ripetuti cortocircuiti. Louis ammutolito è il solo a monologare rivolgendosi agli spettatori dal suo mondo che sta oltre quella famiglia, già prima della morte. Non c’è soluzione alla difficoltà di comunicarsi i propri sentimenti e dal ritmo sincopato traspare l’impossibilità di trovare un linguaggio condiviso.