Mentre il procuratore di Milano Francesco Greco (napoletano, studi a Roma, ma da quarant’anni nel capoluogo lombardo) ne fa una questione di latitudine – «ci ha lasciato sconcertati quel mondo che vive nei corridoi degli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana che non ci appartiene e non appartiene ai magistrati del nord» – lo scandalo che ha semitravolto il Csm costringe il governo a dare segnali di vita sulla giustizia. Il dossier riforma del processo penale, congelato da sei mesi, si rianima quel tanto che basta a informare la stampa. Il treno non parte, ma si aggiungono altri vagoni al convoglio fermo: norme sul Csm studiate per andare incontro all’indignazione popolare. Una su tutte, di chiara marca grillina: taglio delle indennità dei consiglieri. Poi il ministro Bonafede avrebbe in animo di proporre un sistema di valutazione rigido dei titoli di merito dei magistrati per l’assegnazione delle funzioni direttive e reintrodurre (c’era fino al 2017) il divieto per i togati che terminano il mandato al Csm di assumere nuovi incarichi direttivi (non prima, secondo il ministro, di 5 anni). Ma il vertice di maggioranza sulla giustizia ieri ha dovuto lasciare il passo ad altre urgenze, finendo per essere convocato in notturna. Per dare un segnale.