«Leggiamo le agenzie e restiamo allibiti», commenta un pezzo da novanta di FdI mentre un Berlusconi pirotecnico fa partire un siluro dopo l’altro. Il silenzio di Giorgia Meloni, che dribbla i giornalisti in agguato senza una parola, la decisione di non rilasciare alcun comunicato sulle uscite deflagranti dell’alleato confermano lo sbigottimento. Nemmeno 24 ore dopo l’incontro della pace, il capo di Fi rilancia sulla Giustizia per la ex presidente azzurra del Senato Casellati, usa toni da incidente internazionale sulla guerra in Ucraina, mitraglia critiche rivolte al modus operandi della leader tricolore. Più che sufficienti per concludere che su quel giudizio messo giù nero su bianco nel giorno nefasto dell’elezione di La Russa, «Meloni arrogante e prepotente», non ha cambiato idea.
IL CAVALIERE PARLA ai deputati, probabilmente non sapendo di essere registrato, ma certo non poteva pensare che parole pesantissime come quelle su Putin restassero segrete: «Non posso fornire il mio parere sul fatto che secondo i ministri russi noi siamo in guerra perché forniamo armi e finanziamenti all’Ucraina sennò viene fuori un disastro. Ma sono molto preoccupato e ho un po’ riallacciato i rapporti con Putin. Un po’ tanto». Quanto basta per ricevere in dono per il compleanno 20 bottiglie di vodka e «un biglietto dolcissimo».

Quando il discorso trapela Fi prova a smentire, poi, di fronte a una registrazione non equivocabile, si trincera dietro un comunicato che chiamarlo reticente è poco: «La posizione di Berlusconi e Fi è conosciuta da tutti. Non esistono margini di ambiguità». Come se la palese simpatia del capo per le posizioni dell’amico russo fosse trascurabile. Non lo è e in FdI si chiedono se l’obiettivo non fosse silurare Tajani agli Esteri, perché di certo da ieri un forzista alla Farnesina crea una montagna di problemi più di prima. Non che Berlusconi sia proprio isolato: il neo presidente della Camera Fontana conferma e rafforza: «Non vorrei che le sanzioni contro la Russia fossero un boomerang».

Impossibile comunque smentire l’offensiva sul ministero della Giustizia: quella posizione Berlusconi non la espone solo in una riunione che dovrebbe essere a porte chiuse ma la diffonde ufficialmente: «Ministra della Giustizia deve essere Casellati non Nordio. C’è l’accordo anche di Meloni. Mi ha chiesto di incontrare Nordio prima e io lo incontrerò ma per la Giustizia c’è Casellati». Con tanto di lectio magistralis sulle regole ferree del Cencelli, non citato ma imparato a memoria: due ministeri per compensare la mancata presidenza del Senato, uno per quella della Camera. Fanno tre ma quando Silvio li ha chiesti, l’alleata «mi ha riso in faccia». Non manca un pizzino particolarmente sgradevole: «I rapporti tra noi sono ottimi, il suo uomo lavora a Mediaset».

POI, PERCHÉ LA LEGA, che ha solo pochi voti in più di Fi, ha incassato tanti parlamentari in più? È stata proprio questa ingiustizia a spingere i senatori, in piena autonomia, figurarsi, a «dare un segnale» evitando di votare subito per La Russa. Incidentalmente del promesso e annunciato incontro con Nordio, il cui nome continua a figurare alla voce Giustizia, non se ne fa più niente. Ma il neo presidente del Senato La Russa, sbrigativo, chiarisce per tutti: «Nordio è stato eletto per fare il ministro della Giustizia».

FDI SMENTISCE ma non ufficialmente. Si limita a far trapelare l’inesistenza dell’accordo su Elisabetta Casellati, annunciato da Berlusconi, dato anzi per fatto. Fonti vicine al comando azzurro invece confermano: il Cavaliere aveva ricevuto garanzie da Meloni. La quale però è molto più che semplicemente irritata. «Forse farebbero meglio a non farlo più parlare, e non si capisce cosa c’entri il mio uomo», sbotta. È convinta che alla fine il nuovo disastro in qualche modo si rappattumerà, fingendo che le parole di Berlusconi siano piume: «C’è sempre un Berlusconi di giornata», stempera Santanchè. Il governo nascerà in tempi brevi, probabilmente entro la settimana. Ma l’offensiva incontrollata di ieri dimostra quanto illusoria fosse la speranza che con il colloquio di lunedì Berlusconi avesse scelto di schierarsi con i governisti alla Tajani invece che con i falchi come Ronzulli e Miccichè.

L’ELEZIONE dei capigruppo conferma le peggiori previsioni. Al Senato Ronzulli è stata eletta per acclamazione e significa avere il nemico in casa. Il ronzulliano Cattaneo ha scoperto di non essere più quasi ministro quando si è ritrovato capogruppo alla Camera e non ha gradito la sorpresa. Non la ha gradita neppure FdI. Barelli, che doveva essere confermato ed era sulla linea di Tajani, andrà a fare il sottosegretario agli Interni. A guidare il gruppo ci sarà un altro nemico interno: in queste condizioni il governo è destinato a nascere nella tempesta.