Due anni dal triplice assassinio di Sakine Cansiz, Fidan Dogan et Leyla Soylemez, tre militanti curde del Partito dei lavoratori (Pkk), uccise a sangue freddo a Parigi il 9 gennaio del 2013. Un omicidio ancora senza colpevoli, commesso in una zona molto controllata vicino alla Gare du Nord, in rue Lafayette, 147, sede del Centro di informazione del Kurdistan. Un omicidio di Stato, secondo i militanti curdi, commesso dai servizi segreti di Ankara (Mit).
Un anno fa questa pista si è fatta strada con forza, aumentando le possibilità di colpevolezza dell’unico arrestato, Omer Guney. Un video consegnato agli inquirenti e diffuso sul web mostra una conversazione precedente l’attentato tra un uomo che si suppone sia Guney e due responsabili dell’intelligence turca. I tre parlano di alti dirigenti kurdi da eliminare in Europa, di armi e scenari per realizzarli. La posizione del sospettato sembra evidentemente quella di chi prende orgini.
Guney ha sempre proclamato la sua innocenza e il governo turco ha seccamente smentito denunciando una «campagna denigratoria». In quel frangente sono circolate ipotesi di divergenze interne con una frangia dei curdi siriani contraria a Ocalan. La registrazione evidenzia però anche la complicità dei servizi segreti francesi, che tenevano sotto osservazione l’Ufficio curdo, come conferma il sospettato ai suoi interlocutori. Un successivo documento confidenziale, proveniente dal Mit – un incarico di missione per “il legionario” emesso due mesi prima del triplice omicidio e pubblicato sul quotidiano Sol (la sinistra) – ha rafforzato la pista turca.
Guney si era introdotto nell’associazionismo curdo legato al Pkk avvicinando Sakine Cansiz. Sakine, femminista e figura storica del movimento, nel 1978 aveva fondato il Pkk insieme ad Abdullah Ocalan. Fidan Dogan era impegnata a livello diplomatico in Europa nel processo di soluzione democratica della questione curda. Leyla Saylemez era una giovane militante che dedicava il suo tempo alle attività con i giovani. Tutte svolgevano attività diplomatica in Europa contro l’inserimento del Pkk fra le organizzazioni terroriste. Il loro assassinio era parso perciò un colpo portato alle trattative di pace tra il leader curdo e il premier turco Recep Erdogan.
«La ragion di Stato non prevalga sul rispetto della vita umana e sui diritti dei popoli», ripetono oggi i curdi, tornando a chiedere giustizia per le loro compagne uccise. L’inchiesta, però, sembra a un punto morto. Una rogatoria internazionale, inoltrata alle autorità turche da quasi un anno, resta senza risposta. In Turchia è stata aperta un’inchiesta ma – denuncia il movimento – le autorità non hanno condiviso nessun elemento con i giudici francesi. D’altronde, Parigi non ha finora tolto il segreto militare su informazioni di intelligence che permetterebbero di far luce su aspetti importanti del caso. «Nonostante la personalità delle vittime e la gravità del crimine che ha sconvolto un intero popolo – scrivono i curdi – né i famigliari, né i rappresentanti della comunità sono stati ricevuti dalle autorità francesi. Del resto, la Francia ha continuato ad avere rapporti con la Turchia come se nulla fosse accaduto». Il presidente François Hollande ha incontrato a più riprese Erdogan, a gennaio a giugno e a ottobre, ma non ha sollevato il caso. E mentre i guerriglieri curdi resistono a Kobane contro il Califfato, la comunità torna in piazza a Parigi per denunciare «la complicità di Francia e Turchia» e per chiedere nuovamente a Hollande di «adoperarsi con ogni mezzo per identificare, arrestare e giudicare gli autori e i mandanti degli omicidi politici».
Per Sakine e le altre, la prima conferenza delle donne del Medio Oriente ha deciso di dedicare il 9 gennaio alla giornata contro i femminicidi politici. E in questa chiave scendono in piazza oggi anche in Italia diverse reti di donne, da Bologna a Roma. Nella capitale, l’appuntamento è dalle 13 alle 18 davanti all’ambasciata francese (piazza Farnese): «Per ricordare le compagne uccise, per difendere il progetto dell’autonomia democratica, che è contro il sistema capitalista e patriarcale. Un progetto di rivoluzione sociale sulle proprie terre e un modello per tutto il Medio Oriente e oltre».