I La ministra della Giustizia Marta Cartabia, col pieno sostegno di Draghi, difende a spada tratta la sua riforma. Ma nel M5S il fronte del no guidato da Conte e Bonafede non arretra. E si prepara a dare battaglia, senza escludere l’uscita dalla maggioranza.

PER OGGI È PREVISTA una tesissima riunione tra la truppa parlamentare e i ministri 5S, che si annuncia come un processo a chi ha detto sì al compromesso senza aver ricevuto un via liberA. «Le forze politiche dell’attuale maggioranza hanno sensibilità opposte e molto infiammate sulla giustizia», ha detto Cartabia al Corriere. «Che si sia riusciti ad approdare a un testo condiviso e comunque incisivo rende il traguardo ancora più significativo».

PER LA GUARDASIGILLI la nuova riforma «conserva l’impianto della prescrizione in primo grado della legge Bonafede: chi l’aveva allora proposta potrebbe ritenersi soddisfatto». Tuttavia, «non si poteva evitare di correggere gli effetti problematici di quella riforma. Per questo abbiamo stabilito tempi certi e predeterminati per la conclusione dei giudizi di appello e Cassazione. Giudizi lunghi recano un duplice danno: frustrano la domanda di giustizia delle vittime e ledono le garanzie degli imputati. La riforma proposta vuole rimediare ad entrambi questi problemi: è ciò che ci chiede la Costituzione».

Per i duri del M5S arriva come un sollievo la presa di posizione del presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, che parla di «perplessità» sulla riforma, in particolare per il tetto di due anni per i processi d’appello( tre per i reati più gravi), dopo in quali scatterebbe l’improcedibilità. Il numero uno dell’Anm è preoccupato che le Corti d’appello possano non essere in grado di rispettare tempi così stretti e per il rischio che le vittime non abbiano giustizia.

«Non siamo isolati», esulta il presidente della commissione Giustizia della Camera Mario Perantoni (M5S). «Le conseguenze sociali della morte dei processi sarebbero insopportabili». Giulia Sarti rincara la dose: «I nostri ministri dovranno rendere conto di fronte a tutti per l’annacquato papocchio sulla prescrizione. Io non voterò mai questa schifezza incostituzionale. Non mi rappresenta. E non rappresenta nessun parlamentare del M5S che abbia la capacità e la voglia di prendere posizione».

LA FAGLIA SULLA GIUSTIZIA riapre la ferita sulla leadership del Movimento che si stava tentando di ricomporre (a fatica) con i sette saggi. Da una parte i contiani che difendono la riforma Bonafede, dall’altra chi sta con il fondatore e accetta la mediazione trovata nel governo. Ma anche tra i contiani non tutti tifano per l’uscita dalla maggioranza. «Uscire non è la soluzione se non risolviamo i nostri problemi interni. Anzi, potrebbe rappresentare un ulteriore danno perché sarebbe vissuta come un “liberi tutti” e perderemmo ancor più incisività», avverte la senatrice contiana Alessandra Maiorino. Quanto al ruolo di Grillo, dice la senatrice: «È tempo che il M5S si emancipi dalla figura paterna».

PER IL PD LE TENSIONI in casa dell’alleato restano un grave problema. «Senza le riforme, innanzi tutto quella della giustizia, non ci saranno i soldi del piano europeo e non ci sarà la possibilità della ripartenza», dice Letta augurandosi che il dibattito nel M5s «non abbia ripercussioni sul governo». «Con Conte abbiamo un approccio diverso sulla giustizia, ma il rapporto tra noi è positivo e faremo lunghi pezzi di strada insieme», dice il leader Pd.

Inusuale arriva l’appello del vicepresidente del Csm David Ermini a tutti i partiti a «convergere su soluzioni condivise». Un appello che viene letto, tra le righe, come un segnale delle preoccupazioni del Quirinale.