Camera dei deputati, giovedì sera. Mario Draghi ha appena finito la sua breve replica alla discussione generale sulla fiducia. Un po’ a sorpresa ha parlato anche di giustizia penale e delle carceri sovraffollate. Ha promesso impegno per «un processo giusto e di durata ragionevole, che rispetti tutte le garanzie costituzionali». Cominciano le dichiarazioni di voto, ma non le ascoltano i deputati e senatori capigruppo nelle commissioni giustizia che si radunano nella sala del governo a Montecitorio per la prima riunione politica della nuova maggioranza. A volerla è la ministra «tecnica» per eccellenza, l’ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia, che si muove con grande accortezza politica. Il suo primo obiettivo è sminare lo scontro sulla prescrizione.

Cartabia, nei quattro giorni che sono passati dal giuramento, ha già fatto il primo lavoro. Ai rappresentanti della maggioranza radunati dal ministro D’Incà si presenta con un testo, un ordine del giorno. Propone di farlo approvare alla prima occasione, che è proprio quella del passaggio in aula, lunedì, del decreto Milleproroghe dove sarebbe potuta esplodere la mina prescrizione. In realtà anche i partiti decisi a smontare la riforma dell’ex ministro Bonafede – il centrodestra più Iv e +Europa Cambiamo – hanno già annunciato che non insisteranno con gli emendamenti che avrebbero messo in crisi la maggioranza al suo debutto. Gli emendamenti residui, dopo una serie di rinvii ieri, si voteranno oggi nelle commissioni riunite affari costituzionali e bilancio.

Ma la neo ministra non vuol lasciar cadere l’occasione di fissare un punto, in linea con quanto detto da Draghi in aula. Non c’è solo la giustizia civile negli impegni del nuovo governo, anche la giustizia penale avrà attenzione. Offre così ai nuovi arrivati nella maggioranza l’impegno a sterilizzare gli effetti negativi della riforma Bonafede sulla durata dei processi. Ma senza troppa fretta, spiega, perché gli effetti della legge grillina – la cosidetta «Spazzacorrotti» – che cancella l’istituto della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, si vedranno tra anni (quando, appunto, la prescrizione avrebbe cominciato a fare effetto, spingendo per la definizione dei processi). Un po’ è vero. Un po’ non lo è, perché tenere aperto a lungo un regime che si intende cambiare non fa che complicare ulteriormente i calendari delle udienze.

Nell’ordine del giorno proposto dalla ministra c’è l’impegno del governo ad assicurare tempi ragionevoli del processo (richiamato l’articolo 111 della Costituzione) «assicurando al procedimento penale una durata media in linea con quella europea» nel pieno rispetto «dei principi del giusto processo, dei diritti fondamentali della persona e della funzione rieducativa della pena». E tutto questo si impegnano a firmarlo anche i leghisti.
«È stato un incontro molto positivo – dice il capogruppo Pd in commissione giustizia alla camera Alfredo Bazoli – i nodi delicati come la prescrizione vanno affrontati dentro il campo più largo del processo penale per trovare soluzioni condivise». «È un’inversione a U rispetto all’approccio giustizialista di Bonafede», approva il forzista Pierantonio Zanettin. E Federico Conte di Leu, autore dell’ultima mediazione tra Pd, Iv e M5S sulla prescrizione, spiega che se i due governi precedenti della legislatura si sono affrontati sul tema a colpi di tesi e antitesi, «quello in carica può trovare la sintesi».

Resta un problema, perché Lega e Fi non vorrebbero che il testo di legge dove introdurre questa sintesi sia la legge delega di riforma del processo penale già avviata (prevista anche dal vecchio Recovery plan). Gli ex giallo-rossi insistono. La ministra ha chiesto tempo: «Fatemi entrare dentro i dossier». Ma chiudendo la riunione ha detto che il lavoro già fatto non va sprecato. E ieri mattina la sua prima visita Cartabia l’ha fatta al garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Mauro Palma. Quello che per i leghisti era «il garante dei delinquenti».