Solo un primo incontro, aggiornato a oggi quando si affronterà il tema della riforma della legge elettorale per il Csm. Il vertice di maggioranza sulla giustizia è partito piano ma bene, considerando che sul tema i giallo-rossi avevano litigato per cinque mesi prima di trovare, a febbraio scorso, un difficile accordo. Travolto poi dall’emergenza coronavirus. Al termine del primo giro il ministro Bonafede se l’è sentita di dire che il testo di riforma del Csm potrà andare in Consiglio dei ministri già la prossima settimana: «Abbiamo lavorato molto bene e siamo perfettamente d’accordo sul fatto che bisogna intervenire con tempestività».

LA RIUNIONE è cominciata ieri nel tardo pomeriggio negli uffici del ministro in via Arenula – almeno per ministro, sottosegretario Giorgis (Pd) e Federico Conte(Leu), Angela Salafia (5 Stelle) e Walter Verini (Pd), perché altri come la rappresentante di Italia Viva Lucia Azzolina si sono collegati da remoto – ed è andata avanti fino a tarda sera.
Nel pomeriggio, durante il question time alla camera, Bonafede aveva anticipato alcuni punti della riforma del Csm in programma, che sono gli stessi attorno ai quali la maggioranza aveva trovato un accordo a febbraio. Quando però si decise di accantonare l’intervento sul Consiglio superiore per spingere avanti il disegno di legge delega sul processo penale. Ora di fronte al «vero e proprio terremoto che ha investito la magistratura italiana» (espressione usata dal ministro su faceboock domenica e ripetuta ieri in parlamento), le priorità si sono invertite.

Oltre alla riforma del sistema di voto per eleggere la componente togata del Consiglio superiore (che dovrebbe salire a venti unità mentre il plenum tornerebbe ai 33 del 2002), il progetto di Bonafede comprende altri capitoli. Ma intanto registra una difficoltà perché ieri Autonomia e Indipendenza, la corrente fondata da Davigo che è la più vicina alle sensibilità dei 5 Stelle, ha fatto una nota per chiedere una legge elettorale proporzionale. Comprensibili le ragioni, visto che A e I si muove come terza forza rispetto alle correnti maggiori, ma evidente il contrasto con il piano del ministro che invece punta a un sistema seccamente maggioritario – a turno unico o a due turni – per di più con un numero alto di collegi (conseguentemente molto piccoli, circa uno per regione).

GLI ALTRI PUNTI della riforma riguardano i meccanismi per rendere più stringenti le valutazioni di professionalità, «oggettivi criteri meritocratici» nelle parole del ministro. Il Pd insiste particolarmente sulla necessità di separare la sezione disciplinare, che si occupa di sanzionare i magistrati, dal resto del Consiglio che si occupa invece delle nomine. E per questo ha proposto di ragionare intorno a un comitato di presenze autorevoli e fuori dalla mischia (tipo ex giudici costituzionali) per sottrarre le sezioni al gioco degli scambi tra le correnti. Bonafede e i 5 Stelle puntano in particolare su meccanismi rigidi per impedire il ritorno in magistratura alle toghe che sono state elette non solo in parlamento ma anche negli enti locali. E vogliono inserire il divieto per gli ex membri del Csm di poter accedere a incarichi direttivi o semi direttivi per cinque anni al termine del mandato.

Intanto proprio ieri il plenum del Csm è tornato a riunirsi nella sua sede di Roma e non più in teleconferenza, l’occasione l’approvazione di un bando per i magistrati segretari del Consiglio che è stato congelato proprio per studiare regole più trasparenti. Il vicepresidente Ermini ha approfittato per tuonare contro lo «scadimento morale» e il «miserabile mercimonio di pratiche correntizie» che, stando alle conversazioni di Palamara pubblicate, è stato dietro anche all’elezione dello stesso Ermini. Poi però il vicepresidente, stando ancora alle conversazioni captate dal trojan, è crollato nella considerazione di Palamara, dei due deputati del Pd Lotti e Ferri (quest’ultimo oggi con Renzi) e delle toghe del Csm di Unicost e Mi che partecipavano alle riunioni per decidere sulle nomine negli uffici apicali delle procure. «Siamo favorevoli alle riforme», ha detto ieri Ermini, rispondendo a chi (come Salvini) ha chiesto lo scioglimento del Consiglio. Per il vicepresidente «questo Csm ha già cambiato molto». Almeno nei nomi: cinque consiglieri togati sono stati costretti alle dimissioni e sono stati sostituiti.