La Spiaggia della Tagliata di Ansedonia si svela quinta scenografica e interlocutrice viva dell’installazione I Giocolieri dell’Armonia (2022) di Giuseppe Gallo (Rogliano, 1954), che lo scorso 16 aprile ha inaugurato la quarta edizione di Hypermaremma, progetto di incursioni artistiche diffuse nel territorio della Maremma. L’opera monumentale, che si staglia tra le dune della spiaggia per un’altezza di circa quattro metri, si compone di dodici silhouettes di figure antropomorfe realizzate in acciaio corten, disposte in fila descrivendo il tracciato di una semicurva. Raccordate dall’unitarietà e continuità dei loro tratti distintivi, le figure sono caratterizzate dall’innesto di elementi simbolici volti a delinearne le singole identità: copricapi misteriosi, avambracci fluttuanti, un gallo, delle corna taurine.

Si tratta di figure persistenti nell’immaginario di Gallo, come un’ossessione lucida che egli sviluppa linearmente e a più riprese nella sua produzione a partire dalla metà degli anni ottanta. Allora, l’artista aveva già stabilito il suo studio nel complesso del Pastificio Cerere, scenario della costituzione della Scuola di San Lorenzo o Nuova Scuola Romana, di cui fu membro e animatore.

La scelta, fortemente voluta dall’artista, di ubicare l’installazione a ridosso del mare, si inquadra nella volontà di attivare uno scambio simbiotico con la conformazione del territorio, tra i punti cardinali del progetto Hypermaremma, che nella sua attività ha coinvolto artisti italiani e internazionali in un processo di decentralizzazione dei linguaggi e degli attori del contemporaneo.

Evolvendo da queste premesse, Gallo colloca l’opera al centro di una pluralità di raccordi spazio-temporali, tra cui lo stesso «taglio» dell’orizzonte del mare, che definisce uno sconfinamento dell’opera oltre il suo tracciato, ammettendo in sé la natura circostante non solo come elemento formale, ma come riferimento simbolico e iconografico, che si confronta con l’opera in un silenzioso dialogo metafisico.

I Giocolieri di Gallo sono ombre che non dichiarano la propria provenienza, ma che raccolgono in sé la gravità del loro lungo peregrinare, impegnate in una marcia o danza che attraversa diverse temporalità. La loro ripetizione attraverso i decenni restituisce la metodicità dell’operare dell’artista, la cui azione si muove sul riposizionamento di segni, nonché sulla lenta e graduale erosione e ri-significazione delle forme. Qui, la visione del fare artistico coincide con un esercizio di disciplina, votata alla costruzione di un immaginario che si compone e arricchisce mediante un flusso introverso di ricerca, in cui l’artista riattiva immagini e visioni ricorrenti che hanno animato la sua produzione. L’estrema sintesi delle figure esprime la ricerca di un’eloquenza del segno attraverso lo scostamento di tratti minimi, modellando i quali l’artista veicola complesse articolazioni di significato. Connotato dall’utilizzo di materiali e tecniche classiche, il suo linguaggio artistico muove dal rapporto con la tradizione e con la storia dell’arte estraendo le coordinate per una definizione di nuove rotte.

La composizione iconografica e iconologica dell’opera attinge alla fascinazione più volte espressa dall’artista verso la dimensione dell’animalità come interlocutrice per intercettare energie e pulsioni ancestrali, ricercando una condizione di co-appartenenza primigenia altresì evocata dall’ibridazione degli arti inferiori delle figure.

Da un’altra angolazione, tale stratificazione si nutre dell’appropriazione di codici gestuali mutuati dalla storia dell’arte e dalla cultura visuale. La postura delle figure, in una congiunzione discordante tra la stasi controllata della parte superiore del corpo e il dinamismo delle gambe, pone in dialogo simultaneo la posa del pensatore o del filosofo con l’equilibrio del passo incedente, che quasi richiama un moto della «ninfa» di teorizzazione didi-hubermaniana. L’artista sintetizza in questa postura una linea di continuità della condizione umana, in cui la gravezza e i tempi lunghi del pensiero si coniugano con l’impulso al movimento come estensione della necessità di sopravvivenza. Un viaggio ideale, di cui possiamo cogliere solo la brevità di un frammento.

Questa processione, in cui le figure – a tratti fantastiche – si fanno portatrici di diverse culture, si traduce in un momento di compartecipazione e raccoglimento, includendo in sé la dimensione meditativa e mistica di un moto perpetuo dell’umanità. Nelle sue diverse ramificazioni, la ricerca di Giuseppe Gallo è attraversata da una tensione verso il ricongiungimento con forme ed energie archetipiche, che affiorano come da un inconscio magmatico, assieme personale e collettivo, in un processo che vede le opere come articolazioni della medesima spiritualità.

L’artista espande la sua ricerca su immaginari e simboli ricorrenti attingendo da una pluralità di discipline e linguaggi per avvicinarsi a una maggiore universalità. Sembra inserirsi in questo contesto il suo rapporto con la simbologia dei numeri, intesa nella doppia valenza matematica ed esoterica. Una contaminazione presente a più riprese nella produzione di Gallo: se nell’opera I Giocolieri dell’Armonia questa è richiamata dal numero delle dodici figure giustapposte, cifra il cui significato è caro all’artista, altrove, con particolare riferimento ai suoi cicli pittorici, è la stessa fisionomia dei numeri a emergere come soggetto e significante.

Ancora, in diverse occasioni nella sua ricerca è possibile osservare il ricorso all’utilizzo di un sistema di rapporti matematici, come ad esempio il canone aureo, nel determinare la conformazione dell’opera stessa. Le leggi matematiche che ordinano il mondo sono in questo senso acquisite da Gallo come elementi critici e relazionali, funzionali per stabilire un rapporto sostanziale della materia con la natura e con la storia dell’uomo.