Sono trascorsi trent’anni dall’assassinio, il 19 marzo 1994, di don Giuseppe Diana, il parroco di Casal di Principe ucciso dai camorristi casalesi, che avevano deciso di far tacere quel giovane prete che parlava, denunciava, incoraggiava fedeli e preti a uscire dalla sacrestia e lottare contro il sistema camorristico e per il riscatto dei propri territori. Esce ora un libro dello storico Sergio Tanzarella che ricostruisce il contesto socio-politico-ecclesiale, il profilo e la vicenda di don Diana, attingendo a nuove fonti d’archivio e agli atti del processo che ha condannato mandanti ed esecutori dell’omicidio, liquidando definitivamente i depistaggi che avevano tentato di trasformare l’assassinio del parroco in un delitto passionale o in una sorta di regolamento di conti fra camorristi (Sergio Tanzarella, Don Peppino Diana. Un prete affamato di vita, Il pozzo di Giacobbe, pp. 212, euro 18).

I DOCUMENTI, scrive l’autore, dimostrano che «Diana non fu ucciso per caso ma perché prete e organizzatore di una seria azione di denuncia dell’attività criminale della camorra, dell’illegalità sociale sistemica e della gestione politica clientelare, oltre al sacerdotale impegno per la formazione delle coscienze, soprattutto dei giovani, all’interno di una precisa scelta pastorale ispirata alla Sacra Scrittura e tesa tra evangelizzazione e profezia».

Nato nel 1958 a Casal di Principe, studia dai gesuiti alla Facoltà teologica di Napoli, viene ordinato prete nel 1982 e inviato in parrocchia nel proprio paese. La sua pastorale quotidiana diventa impegno sociale, denuncia del sistema di corruzione e lotta alla camorra, anche perché don Diana prende sul serio un importante documento dell’episcopato campano – ispirato dal vescovo di Acerra Riboldi –, Per amore del mio popolo non tacerò: un atto d’accusa contro la criminalità organizzata, un appello ai credenti a partecipare attivamente alla vita civile, una sferzata alla Chiesa «del silenzio», perché superi gli opportunismi e si schieri contro la camorra.

MENTRE SI INTENSIFICA la guerra fra gli emergenti Schiavone e De Falco per il controllo del clan al posto dei vecchi boss Bardellino e Iovine, nel 1989 don Diana viene nominato parroco. Abolisce le costose manifestazioni spettacolari per le feste patronali, con cui i camorristi, grazie alla connivenza interessata del clero, addomesticano il sacro al proprio dominio. A Natale 1991, insieme agli altri preti di Casal di Principe, scrive e diffonde nelle parrocchie un documento che, riallacciandosi a quello del 1982, denuncia una situazione in cui «il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli».

Borghesia mafiosa e democristiani collusi non apprezzano. Il Sistema emette la sentenza. La mattina del 19 marzo 1994 i killer della camorra agli ordini di De Falco entrano nella sacrestia della chiesa e sparano al parroco che si stava preparando per la messa. Don Diana si era spinto troppo oltre, andava fermato.

La presentazione oggi alle 19 al teatro Don Peppe Diana di Portici, Napoli (viale Tiziano 15) con l’autore.