La simmetria regna sovrana in Giulio Cesare in Egitto, opera cosmopolita composta nel 1724 dal tedesco Georg Friedrich Händel su libretto dell’italiano Nicola Francesco Haym per il londinese King’s Theatre. Sul piano del contenuto: due schiere contrapposte (Romani ed Egizi), due guerre civili (quella tra Cesare e Pompeo nelle schiere romane, quella tra Cleopatra e Tolomeo nelle schiere egizie), due coppie (quella in progress tra Cleopatra e Cesare, quella impossibile tra Cornelia e Tolomeo).
Ma soprattutto, sul piano della forma, la capillare, inarrestabile, ipnotica simmetria che regola la struttura del libretto, con la sua rigida alternanza di recitativi ed arie (fatta eccezione per un coro e due duetti), e della partitura, con i plurimi da capo di ogni aria. In quest’opera tutto si raddoppia, ritorna, si ripete, si riflette, creando un universo drammaturgico che si muove lentamente, si accresce un po’ alla volta, fagocitando lo spettatore in un movimento a spirale che, tra un’oasi lirica e l’altra in cui il pensiero immancabilmente si perde, lo trascina inarrestabile fino alla fine.

IL CONTINUO ritorno di personaggi, temi, strutture musicali, cadenze, viene animato da un gusto della variazione, della modulazione e della sfumatura che in Händel non hanno precedenti e che il direttore Giovanni Antonini, a capo dell’ensemble del Teatro alla Scala che esegue su strumenti storici, coglie con un’attenzione e con un’intensità abbaglianti, staccando tempi talvolta precipitosi talvolta estatici, modulando volumi ora massicci ora tenui, dando a ogni strumento la possibilità di offrire il proprio colore alla messa in scena degli affetti (l’amore, l’ambizione, il desiderio di vendetta, il lutto ecc.).

ANCHE l’allestimento, nuova produzione scaligera, con la regia di Robert Carsen, che cura anche le luci con Peter van Praet, le scene e i costumi di Gideon Davey, i video di Will Duke, le coreografie di Rebecca Howell e la drammaturgia di Ian Burton, rincorre le sfaccettature del testo di Haym, in particolare l’alternanza tipicamente barocca di elementi tragici ed elementi buffi, e sfrutta tutti i rallentamenti e le iterazioni dei da capo per articolare la trama in una grande quantità di azioni minori, gesti, espressioni, presenze, che la rendono miracolosamente plausibile e scorrevole. Siamo trasportati in un paese del Medioriente contemporaneo, dove, tra tende militari, armi e barili di petrolio, si fronteggiano locali e occidentali, il cui unico punto in comune sembra essere l’immaginario globalizzato del cinema hollywoodiano: poco prima che Cleopatra seduca Cesare, vediamo scorrere su un grande schermo i volti delle attrici che l’hanno incarnata (Claudette Colbert, Vivien Leigh, Elizabeth Taylor).

IL CAST, stellare, segue e fonde le indicazioni del direttore e del regista con straordinaria destrezza attoriale, fatta di fisicità prorompente e di relazioni con gli altri e con lo spazio sempre significative. Svettano su tutti il Tolomeo di Christophe Dumaux, che offre anche una voce tanto sublime e pura da essere incarnazione perfetta dell’intero repertorio barocco, e la Cleopatra di Danielle de Niese, sensualissima sebbene vocalmente disomogenea e a tratti irruenta. Intensi anche il Cesare di Bejun Mehta e la Cornelia di Sara Mingardo. Stranamente gracchiante il Sesto di Philippe Jaroussky.
Con Giulio Cesare in Egitto, che mancava dal 1956, prende l’avvio il Progetto Barocco della Scala, che proseguirà nel 2020 e nel 2021 con Agrippina e Ariodante ancora di Händel e con la creazione di una Fondazione per promuovere il repertorio settecentesco. Repliche fino al 2 novembre