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Giulia e Fausto

Giulia e Fausto

Tappa 16 «Gran troia!», urla Magni alla Dama Bianca su per il Ghisallo, portavoce di tutte le donne che sputavano per terra incontrandola al mercato, del giudice che la spedì in galera […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 23 maggio 2018

«Gran troia!», urla Magni alla Dama Bianca su per il Ghisallo, portavoce di tutte le donne che sputavano per terra incontrandola al mercato, del giudice che la spedì in galera per tre giorni, di quell’Italia che a volte con troppa leggerezza si rimpiange, sorpresa dall’irruzione di Giulia Occhini in un palcoscenico di soli maschi. La colpa maggiore, forse, fu l’aver sottratto il campione ai suoi legittimi custodi, la gente asserragliata ore e ore sotto il sole, o tra le foglie morte, nell’attesa del campione che si risolve in un refolo di vento. L’aver riportato il mito del Campionissimo alla realtà di Fausto. «Anche quando ascolto i racconti di strepitose vittorie – così parla Faustino – il mio pensiero non va al grande Fausto Coppi. Va al mio papà che amava la mia mamma».

Ma quella sera d’ottobre del ’56 tutto questo forse c’entrava, o forse no. Coppi è in fuga, il caleidoscopio delicato dei suoi muscoli sembra essersi ricomposto per il più meritato degli addii, il trionfo in quel Giro di Lombardia che fu più di tutte la sua corsa. Il gruppo dietro arranca, non si sa se costretto dalla fatica o dall’omaggio. Quand’ecco passa la Dama Bianca, si sporge dal finestrino dell’auto al seguito, e rivolge il gesto dell’ombrello a Magni, il capo della compagnia. Che si infuria, guida la muta all’inseguimento e consegna la vittoria a Darrigade.

La vicenda era iniziata in primavera, quando una foratura aveva azzoppato Nencini in maglia rosa. Magni attacca a capo basso, Coppi lo segue e gli dà manforte. A Magni il Giro, a Coppi la tappa. Un dono troppo plateale, per i coppiani, Giulia in testa.

Partiva, quella tappa, da Trento, e ci parte quella d’oggi, 34 km a cronometro fino a Rovereto, per rimescolare le carte di questo Giro. Il secondo della generale, Dumoulin, a cronometro è campione del mondo. Poteva passare, in tre quarti d’ora di sforzo solitario, dal ruolo di inseguitore a quello di inseguito. L’esercizio stilistico, in effetti, è superbo, il busto una proiezione del manubrio che procede parallelo all’asfalto per tutta la lunghezza del tracciato. L’efficacia è relativa: terzo al traguardo, ma con solo un minuto e mezzo sullo sferragliante Yates. Ora l’inglese può amministrarsi un gruzzoletto che solo la strada ci darà quanto decisivo. Di sicuro di qui a Roma gli si srotola davanti un percorso amico.

La tappa se la porta a casa lo specialista Dennis, dopo la beffa di Gerusalemme. Nelle posizioni di rincalzo si rifà vivo Froome, che ora ha il podio nel mirino.

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