Lo scontro tra la Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) e la Corte costituzionale polacca ha riacceso i riflettori sulla questione del rapporto tra ordinamento europeo e ordinamenti statali.

Per comprenderne i termini, occorre anzitutto considerare che, in base ai Trattati europei, nelle materie di competenza dell’Unione europea (Ue) vale il principio fondamentale del primato di tutto il diritto europeo – dai Trattati alle disposizioni amministrative della Commissione, passando per le sentenze della Cgue – su tutto il diritto statale con esso configgente, norme costituzionali incluse. Il diritto statale può essere chiamato dallo stesso diritto europeo a collaborare alla sua specificazione, rimanendo pienamente competente solo nelle materie che si collocano al di fuori del campo d’azione dell’Ue.

Le competenze europee risultano, tuttavia, configurate in modo flessibile, dal momento che sono definite non per materie, ma per politiche e obiettivi, cosa che ha indotto la Cgue a riconoscere all’Ue tutti i poteri necessari a esercitare tali competenze, anche se non esplicitati dai Trattati, e tutte le ulteriori competenze necessarie a non pregiudicare il perseguimento degli obiettivi assegnati.

Alla stessa Cgue spetta poi decidere, oltre che sull’ambito di applicazione del diritto europeo, sull’interpretazione e sulla validità dello stesso, e, quindi, sulle norme statali che, rientrando nella sfera del diritto europeo, sono destinate a non essere applicate, senza che residui un ruolo per le corti nazionali, nemmeno riguardo alle norme costituzionali.

Proprio qui – in questa pretesa di escludere le corti costituzionali nazionali dalle questioni rientranti nelle competenze europee – si annidano le cause della tensione che, ciclicamente, contrappone alcune di loro alla Cgue.

Un esempio recente è la sentenza del 2020 con cui il Tribunale costituzionale tedesco ha giudicato esorbitante dalle competenze Ue il programma finalizzato all’acquisto di titoli di Stato sui mercati secondari da parte della Bce e ha, di conseguenza, negato efficacia alla sentenza del 2018 della Cgue che aveva invece ritenuto rispettate le competenze europee. Un altro esempio è la vicenda polacca di questi giorni, delicatissima perché vertente sulla configurazione dei poteri sanzionatori nei confronti della magistratura, una configurazione che la Cgue ritiene incompatibile con il rispetto dello stato di diritto, e in quanto tale lesiva di un principio fondamentale dell’Ue, e che la Corte di Varsavia afferma invece estranea alle competenze europee.

Anche la nostra Corte costituzionale è stata protagonista di contrasti con la Cgue. Inizialmente, a causa del fatto che, essendo stati i Trattati europei recepiti con legge ordinaria, attribuiva al diritto europeo rango di legge, rendendolo così abrogabile dalle leggi successive e subordinato alla Costituzione. Di seguito, a causa della teoria dei «controlimiti», in base alla quale ritiene che le limitazioni di sovranità consentite dall’articolo 11 della nostra Costituzione, con cui ha riconosciuto copertura costituzionale all’adesione dell’Italia all’Ue, non possono comunque travolgere i principi costituzionali fondamentali e i diritti umani inviolabili, pena l’incostituzionalità parziale della legge di recepimento dei Trattati.

Una simile eventualità non si è, sinora, mai verificata con riguardo al diritto europeo, ma è stata fatta balenare in un caso in cui la Cgue aveva ritenuto incompatibili con l’ordinamento Ue le norme italiane sulla prescrizione dei reati fiscali, suscitando la reazione della Consulta a tutela della irretroattività del diritto penale in malam partem. In quell’occasione, la Cgue era tornata sui suoi passi, ma nulla esclude un nuovo caso futuro, anche a causa di una sentenza del 2017 con cui la Corte costituzionale ha affermato la propria competenza in tutte le circostanze in cui siano in causa diritti fondamentali riconosciuti sia dalla Costituzione italiana, sia dalla Carta di Nizza, a prescindere dalla violazione dei controlimiti. La Cgue vorrebbe riservarsi ogni spazio d’intervento, essendo la Carta di Nizza oramai equiparata ai Trattati, ma la Corte costituzionale non intende rinunciare al proprio ruolo a tutela dei diritti.

Sullo sfondo, permangono due nodi irrisolti del processo d’integrazione europea. Il primo riguarda la differenza d’impostazione tra alcune costituzioni statali, prioritariamente rivolte alla costruzione dello Stato sociale, e i Trattati europei, prioritariamente rivolti alla costruzione del libero mercato: riconoscere precedenza alle une o agli altri in molti casi può fare la differenza. Il secondo riguarda la progressiva marginalizzazione dal processo d’integrazione dei parlamenti a favore dei giudici comuni e costituzionali. Si tratta di due questioni decisive: al punto che è probabilmente da esse, più che dalla limitazione dei poteri del Parlamento europeo, che origina il deficit sociale e democratico che sempre più mina la costruzione dell’Europa unita.