Le prime ore del giorno si riversano plumbee sul quartiere Garbatella. Il teatro Palladium e le cataste di cemento. Il 5 marzo e le 9:30 del mattino. Quasi a fagocitare le casupole, i ghirigori, le viuzze, l’intero rione operaio, la mastodontica sede della Regione Lazio si incaglia su via Cristoforo Colombo. Saranno stati una cinquantina davanti ai cancelli, tutti aderenti alla piattaforma Garantiamoci un futuro. No al business sulla disoccupazione giovanile, lo striscione tra le mani, infagottati, ombrelli puntati, le braccia incrociate, volti anonimi su carta bianca. Garanzia Giovani è una scatola vuota! Noi vogliamo reddito e diritti!

La pioggia batte sull’asfalto, cade scrosciante sui vetri delle macchine per le strade di una Roma appena stiracchiata. «Abbiamo ottenuto un incontro – esordisce Natascia, neolaureata, facoltà di Lettere e Filosofia – abbiamo strappato un tavolo di confronto con l’assessorato al Lavoro, per discutere, criticare e dimostrare l’inefficacia e l’inadeguatezza del programma Garanzia Giovani». Sciarpa attorcigliata sul collo, «le nostre rivendicazioni sono chiare. Chiediamo all’amministrazione regionale di ascoltare le esigenze di chi vive da anni la precarietà e non solo le voci di chi specula sul nostro disagio».

La Garanzia Giovani è un programma europeo avviato in tutta Italia il 1°maggio 2014 per offrire ai giovani tra i 15 e i 29 anni diverse opportunità di orientamento, formazione ed inserimento nel mondo del lavoro nei paesi membri con tassi di disoccupazione giovanile superiore al 25%. L’obiettivo esplicito non è creare occupazione ma incentivare l’occupabilità: aumentare la possibilità per i cosiddetti «Neet» – acronimo per: Not (engaged) in Education, Employment or Training – di essere assorbiti nel mercato del lavoro. «Un cambio di paradigma: dalla piena occupazione alla disoccupazione strutturale e quindi all’occupabilità – persevera Natascia – Tutto questo trova la sua prima vera applicazione nazionale nel programma Garanzia Giovani – e poi ad elencare – nel ruolo delle politiche attive del lavoro, i nuovi ammortizzatori sociali, nel passaggio dalla contrattazione nazionale a quella aziendale, il ruolo della formazione professionale».

Il presidio rumoreggia davanti ai cancelli. Il ticchettio frenetico della pioggia rintocca i secondi, i minuti, le ore immobili. Una delegazione è appena salita negli uffici dell’assessore. Le scale a chioccia pregne d’acqua. Antonietta pensierosa fissa il telefono. «Il Programma si concretizza – esordisce sovrappensiero – come un vero e proprio business sulla disoccupazione per agenzie del lavoro interinali, enti di formazione e orientamento, oltre che per le imprese interessate a bonus occupazionali, lavoro gratuito e tirocini finanziati con i fondi pubblici”. La pioggia scandisce le parole. «Sono clamorosi i ritardi e le inefficienze: sono due mesi che non mi pagano. Lavoro, uno stage di 150 ore per 400 euro mensile. Stipendio, contratto, una possibile assunzione? Tutto quello che mi garantiscono è un rimborso spese e la speranza. Dicono che sia un soggetto in perenne formazione: acquisisco credenziali, punti sul curriculum, sempre a disposizione, pronta a scapicollarmi, a girare, anche a confondermi, ma sempre disposta e disponibile. L’intero sistema è fondato sull’economia della speranza».
Tutt’altra realtà emerge dalla descrizione del programma fornita dal ministro del lavoro Giuliano Poletti: «Per la prima volta nel nostro Paese si attiva un’azione sistematica per offrire a un’ampia platea di giovani un ventaglio di opportunità per aiutarli a entrare nel mondo del lavoro – ha scritto – È una sfida complessa, che è indispensabile affrontare con il massimo impegno di tutti i soggetti coinvolti a partire, naturalmente, dal ministero del Lavoro, cui spetta la regia del Piano: dalle Regioni, che dovranno assicurare l’attuazione degli interventi sul territorio; dai centri per l’impiego e dalle Agenzie private accreditate che dovranno concretamente seguire i giovani».

Per capire lo stato delle cose, bisogna ricorrere ai dati aggiornati dell’ultimo rapporto. I finanziamenti concessi per la Garanzia Giovani sono all’incirca di 1,5 miliardi di euro: 1,134 miliardi dall‘Europa +380 milioni di finanziamento nazionale. I giovani registrati il 12 marzo al Programma erano 453.729, tutti tra i 15 e 29 anni. La Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro stima che in Italia i «Neet» siano oltre 2 milioni 254 mila. Garanzia giovani aveva delimitato la platea a 1.565 milioni giovani: disoccupati ed inattivi ma in grado di lavorare. Oggi la platea è stata ridotta a 560 mila. I giovani presi in carico nel frattempo sono solo 218 mila, poco meno della metà dei registrati. Secondo i dati Adapt i partecipanti che hanno ricevuto una proposta di politica attiva sono erano a febbraio 12.273, poco più del 3% di quelli «presi in carico». È necessario sottolineare che ogni iscritto è tenuto a firmare il Patto di servizio e la DID (Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro) con cui sottoscrive l’obbligo di svolgere qualsiasi attività lavorativa proposta. La gran parte del 1,5 miliardi di euro si focalizza nella formazione, tirocini e bonus occupazionali per le imprese. «Un ruolo decisivo ora spetta al sistema imprenditoriale – ha scritto Poletti – Sono le imprese il vero motore dello sviluppo; sono le imprese che creano lavoro». Alla luce dei dati, al momento non sembrano molto interessate.

Torniamo al presidio. Il caffè bollente sul bancone. Un goccio d’acqua. L’accento lucano è inconfondibile. «La Garanzia Giovani è l’esemplificazione delle profonde trasformazioni del mondo del lavoro – afferma Salvatore, lo zucchero e la tazzina, il bar che da subito sulla strada – si accede all’offerta di qualsiasi opportunità o beneficio solo attraverso l’accettazione dell’obbligo a rendersi disponibile a farsi formare, ricollocare, ad accettare un eventuale posto di lavoro, tante volte lontano anni luce rispetto alla propria formazione, pena la perdita della possibilità di essere immesso nel mercato del lavoro. L’organizzazione e la gestione della forza-lavoro di riserva non viene privatizzata, risulterebbe troppo onerosa per i privati, ma si avvia un’immediata sinergia tra pubblico e privato». «Il Programma Garanzia Giovani non fa altro che anticipare quanto oggi è in fase di discussione e stesura con i decreti attuativi del Jobs Act. È definitivo il passaggio dalle politiche di welfare a quelle di workfare».

È mezzogiorno quando la delegazione riemerge, nonostante la pioggia non abbia mai cessato, nonostante il tempo si sia arenato e una velatura grigia abbia inquinato l’aria umida. «Abbiamo vinto e ottenuto dal tavolo lo sblocco immediato dei pagamenti dei tirocini già attivati – spiega Tiziano di «Garantiamoci un futuro» – e la rassicurazione che l’indennità o il rimborso si alzi a 600 euro per il Lazio. Il nostro fine però è che i soldi vengano equamente ridistribuiti ai reali beneficiari, senza che vi siano ulteriori speculazioni, garantendo un salario minimo o un reddito di base alle decine e decine di migliaia di giovani precari che in questa regione non hanno un lavoro e non possono accedere a nessun ammortizzatore sociale». L’impegno continua. Appumento alla regione Lazio, nel quartiere Garbatella, mercoledì 25 marzo per uno «speakers’ corner» di neet, disoccupati e precari. «Questa volta non ci accontenteremo di un tavolo a porte chiuse».