«Supponiamo che ci si pari dinanzi il grande edificio della Filosofia. Di fronte alla porta, il Guardiano della Filosofia ci interroga e ci chiede: – Perché mai desideri entrare qui? – Il fatto è che, giunto a questo punto della mia esistenza, non riesco più a raccapezzarmi. – Allora sta bene. Puoi entrare. Conclude il Guardiano. (L’edificio subito scompare)».
Niente meglio della parentesi con cui si conclude questa favola quasi-kafkiana rende lo stile di pensiero di Giovanni Piana, fino a oggi il più grande e vivo maestro della fenomenologia italiana, scomparso improvvisamente a nemmeno 79 anni, nel pieno di una fase creativa che ha visto arricchirsi incessantemente le sue Opere Complete (raccolte nel sito del Dipartimento di filosofia dell’Università Statale che ne ospita l’Archivio: http://www.filosofia.unimi.it/piana/). Da qui, dal volume 13, Introduzione alla filosofia (2013), è tratta l’immagine di apertura.

DEVE ESSERE tornata in mente a molti di noi quell’immagine, associata forse al ricordo del corridoio al quale si affacciava il suo studio, alla Statale di Milano, in via Festa del Perdono, dove Piana ha insegnato Filosofia Teoretica dal 1970 al 1999. Lì accanto, negli studi contigui, si discuteva molto animatamente di filosofia del linguaggio e di logica, di estetica e di psicologia e di filosofia della scienza – come se in ciascuno di quegli studi ogni rivolo del fiume in piena che era stato il pensiero di Enzo Paci (1911-1976) avesse trovato argine e ordine e la quiete vivace della discussione quotidiana, cioè della ricerca. Poteva davvero sembrare fosse lì, affacciato su uno dei chiostri del Bramante, «il grande edificio della Filosofia».
A proposito di Paci: fa impressione oggi ritrovare nell’Archivio di Piana la grafia azzurrina, minuta e limpida, di una sua lettera del ’61 – l’anno di pubblicazione dell’edizione italiana della Crisi di Husserl – al giovanissimo allievo: «Io sono qui che scrivo, nella tarda notte, a un giovane che amo per quello che è, per quello che fa, per quello che può fare. Ti scrivo sapendo molto bene, molto più di te, con più certezza di te, che tu hai un compito da assolvere che mi supera, che tu assolverai meglio di me». Nel 1968 esce la limpidissima traduzione italiana di Piana delle Ricerche Logiche, su cui si sono formate molte generazioni di fenomenologi. Il ’68! Viene da pensare a un’altra frase di Piana: «Io credo che la filosofia abbia a che fare soprattutto con la confusione» – e con l’amore di chiarezza e distinzione che le risponde, accettando di soffrire dubbio e passione.

Giovanni Piana ed Enzo Paci nel 1965

È la cifra stessa della fenomenologia, che poggia sui due pilastri dell’esperienza vissuta e del rigore analitico. Anche se Piana non volle mai ridursi a un filosofo di scuola – egli stesso definisce il suo pensiero uno «strutturalismo fenomenologico» in cui sono presenti influenze di Husserl, Wittgenstein e Bachelard. In effetti dopo Esistenza e storia negli inediti di Husserl (1965) e I problemi della fenomenologia (1966) Piana scrive una Interpretazione del Tractatus di Wittgenstein (1973).
Con la sua straordinaria esplorazione dell’intera vita cognitiva, Elementi di una dottrina dell’esperienza (1979) assume la misura di un piccolo classico: ma nel 1988 escono i quattro saggi (di cui due su Bachelard e Cassirer) de La notte dei lampi, fonte inesauribile per uno dei filoni di ricerca più tipici di Piana, le Immagini. L’altro, quello dei Suoni, vedrà una vera e propria esplosione creativa nell’ultimo ventennio. Perché il filosofo non ha mai lasciato solo il violinista: anzi nella familiarità con quella «cosa stessa» che è la musica si radica il filone forse più noto e internazionalmente apprezzato della ricerca fenomenologica di Piana, a partire da Filosofia della musica (2001).

SUONI E IMMAGINI: due passioni che confluiranno nell’ Album per la teoria greca della musica (2010). Dal suo ritiro nella luce della Calabria, di fronte al mare, Piana ha contribuito ad animare il Seminario Permanente di Filosofia della Musica, di cui espressione il giornale on line «De Musica», diretto da Carlo Serra.
È in quella luce che è fiorita la maggior parte delle sue composizioni musicali – se ne trovano 35 nel suo archivio, io ne ricordo una struggente eppure infine rasserenata, dedicata all’amatissima compagna della sua vita, Marina, prematuramente scomparsa nel 2012. Ma tutte le immagini e i suoni che popolano il suo vivente Archivio resteranno con noi. «La vera filosofia tende all’elementare. E dunque non ha fretta di correre oltre, indugia in quei punti rispetto ai quali si potrebbe benissimo soprassedere. In certo senso si fa custode del ricordo di cose che si potrebbero facilmente dimenticare».