«Non dovete temere, la libertà di stampa non è in discussione. Ma come spesso voi attaccate violentemente noi, può capitare che anche voi veniate attaccati violentemente». Da Palermo, a margine del summit sulla Libia, il presidente Conte aggiusta il tiro degli attacchi del suo partito, l’M5S, contro la stampa. Lo fa con l’intenzione di attenuare gli insulti di Di Battista e Di Maio ai giornalisti («pennivendoli», «infime puttane») dopo l’assoluzione di Raggi e di accorciare le distanze con Mattarella che lunedì ha ricordato solennemente che «la libertà di stampa ha un grande valore».

MANCHEREBBE che il premier dicesse il contrario, e cioè che la stampa è in pericolo. Ma l’effetto finale delle sue parole è quello di una toppa peggio del buco. Conte mette governo e cronisti sullo stesso piano, come fosse inconsapevole del suo ruolo istituzionale e di quello della stampa (ma è difficile crederlo dato il suo vasto curriculum di studioso del diritto). Fingendo per di più di non vedere il risultato sinistro ottenuto dai 5 stelle con il combinato disposto fra le liste di proscrizione degli editori «cattivi» e i ripetuti annunci di riforma del settore agitati come ritorsione.

APERTA PARENTESI: l’idea che hanno i 5 stelle dell’informazione è chiara da tempo, ma la giornata di ieri ne ha fornito un altro esempio semplice ed eloquente. Il deputato Francesco Silvestri ha spiegato che chi non scrive che la conferenza sulla Libia «è stata un successo non vuole bene all’Italia». Chiusa parentesi.

COME ALTRE VOLTE per i giornalisti «ostili», stavolta Di Battista compila la lista di proscrizione delle testate («Repubblica, Messaggero. Giornale, Libero, La Stampa, graziato il Corriere della Sera), consigliando i lettori di tenere a mente gli interessi materiali extraeditoriali di un editore. Discorso serio, quello sugli «editori puri», meglio normato in altri paesi. Ma irricevibile dal pulpito di un partito-azienda ipercolpevolista con gli assolti degli altri, in cui il proprietario decide la comunicazione fin delle massime cariche del governo. Discorso inascoltabile in abbinata a minacce di giro di vite (che peraltro alla fine colpiranno invece più i piccoli editori e le testate senza padrone, e le minacce sulla manovra alle camere già sono eloquenti).

DI BATTISTA fa anche la lista dei «giornalisti liberi» (danneggiando quelli seri capitati per ventura nell’elenco): Marco Travaglio, Massimo Fini, Pierangelo Buttafuoco, Fulvio Grimaldi, Alberto Negri, Franco Bechis, Luisella Costamagna, Milena Gabanelli. Poi ci sono quelli «che hanno capito che chi davvero sta colpendo la libertà di stampa sono svariati sicari dell’informazione ormai distaccati dalla realtà e capaci di scendere in piazza per difendere esclusivamente la loro posizione di potere».

CE L’HA, MANCO A DIRLO, con i tanti cronisti e croniste che ieri in tutta Italia – da Milano passando per Roma e fino a Reggio Calabria e Potenza – hanno partecipato a manifestazioni e flash mob «in difesa della informazione», organizzati per lo più dalla Federazione nazionale della stampa. «Se il presidente della Repubblica, uomo mite, pacato e moderato, per la quinta volta in un mese deve dirci che la libertà d’informazione è presidio della democrazia, dobbiamo essere preoccupati», spiega il presidente della Fnsi Giuseppe Giulietti. Si è aggiunta la Fieg, la Federazione degli editori, non sempre e con la stessa intensità di oggi paladina della libertà dei loro cronisti per non parlare di collaboratori e precari.

E CHE IL PROBLEMA non siano solo gli attacchi dei 5 stelle lo spiega Giulietti annunciando una manifestazione nazionale. Nelle redazioni circolare troppa tolleranza nei confronti delle pretese di controllo dell’informazione dei 5 stelle. «Noi stessi dobbiamo reagire. Cominciamo ad abbandonare le conferenze stampa dove le domande non si possono fare e a rifiutare quelle dirette streaming senza contraddittorio che sono uguali alle videocassette di un’altra stagione» e qui ricorda l’era in cui Berlusconi l’allora «Sua Emittenza» – ed oggi paladino della libertà di stampa – si è spinto molto in là ma non fino alle intimidazioni di questi giorni.

«È PARTITA LA DIFESA corporativista, puerile, patetica, ipocrita, conformista e oltretutto controproducente di una parte del sistema mediatico» replica Di Battista dal Nicaragua, attuale tappa del suo viaggio latinoamericano che racconta in imperdibili reportage su un giornale «buono», il Fatto.