Il tempo e la relazione. Che programma magnifico si è dato Giorgio Gaslini per il suo lavoro del 1957. Un’epoca nella quale gli artisti orientati a sinistra sono molto in campo, nonostante oggi si tenda a dimenticarlo. Quando Gaslini si disporrà a fiancheggiare il movimento studentesco del ’68 e i movimenti di rivolta degli anni ’70 si tratterà dell’esito di una lunga attenzione alle innovazioni musicali e sociali e politiche intrecciate. Non di un inizio.
Tempo e relazione viene presentato da Gaslini al Festival Internazionale del Jazz di Sanremo dell’anno 1957. Non conosciamo le reazioni dei babbioni della critica conservatrice, allora egemone. Probabile che siano state di sconcerto. Si tratta di una composizione da camera per ottetto in cinque movimenti. Rigorosamente dodecafonica. Jazz? Sì, del tutto jazz, per quel che valgono le definizioni. L’ensemble è formato da un marpione come Gil Cuppini alla batteria, un virtuoso disponibile e intelligente, e da altri strumentisti eccellenti e versatili: Gastone Tassinari al flauto, Mario Loschi all’oboe, Lorenzo Nardini al sax alto e al clarinetto, Giulio Libano alla tromba, Raoul Ceroni al trombone, Alceo Guatelli al contrabbasso. Più Gaslini al pianoforte, s’intende.
Al piano Gaslini si sente, è protagonista, non legge soltanto, non esegue soltanto. Proprio come gli altri solisti. Perché si tratta di una partitura tutta scritta che non prevede improvvisazioni, ma la pronuncia da improvvisatori jazz dà un carattere specialissimo al tutto. Il primo tempo, Lento-Veloce, giusto, è quello dove una sortita marcatamente pre-free del sax alto dice parecchio su quanto quest’opera anticipi le esperienze americane che alla fine di quella decade cambieranno radicalmente la storia della musica jazz. Ornette Coleman non è ancora apparso sulla scena, e nemmeno Albert Ayler o Archie Shepp, e John Coltrane si destreggia ancora, passionale e desiderante, con i giri di accordi. Certo, si è già sentito Cecil Taylor, il più rivoluzionario di tutti, e si sono già fatte le bellissime registrazioni di Charles Mingus con i suoi Workshop, al punto di congiunzione tra un estremismo cool e una aspirazione all’atonalità.
Gaslini è sull’onda di questo jazz. E oltre. Ma è in sintonia con gli echi della Scuola di Vienna. Quanto sapore di Pierrot lunaire in certi passaggi di Tempo e relazione! Quanto Webern nella testa e nel cuore! Polifonia e piacere del jazz moderno monodico si allacciano splendidamente. Lo swing più esplicito non esita a farsi largo nelle complesse ma ariose trame seriali. Gaslini nelle note del disco a 45 giri uscito in quei giorni spiega il senso del suo lavoro: «Lo spirito comunicativo è ben dichiarato nel titolo stesso. Relazione tra gli esecutori, tra le ’voci’, relazione sociale sulle basi di una disinteressata ricerca di oggettività sulla quale sia possibile un dialogo esistenziale, artistico». Più avanti, nel 2001, Gaslini nel libro Il tempo del musicista totale (Baldini&Castoldi) scrive che Tempo e relazione è l’esempio perfetto di quello che lui intende per musica totale. Niente pastiche o «contaminazioni» demagogico-populiste, ma un’idea della globalità.