Un sindaco in carica da vent’anni che ama la sua città e che sta per lasciarla nelle mani del successore da lui stesso designato. Un politico rampante che è pronto a ereditare il comando delle operazioni ma che a un mese da quella che si prefigura come una successione indolore, preferisce l’odore del sangue e prendersi una rivincita importante nei confronti di un padrino improvvisamente trasformato in un bersaglio da colpire duramente. Una moglie e una figlia che girano intorno alle figure maschili e che, al tempo stesso, provano a contrastare questa forza centripeta con il lavoro, il sesso, l’alcol.

Quattro personaggi e una città, Marsiglia, quella che dà il titolo alla serie francese targata Netflix con Gérard Depardieu nella parte del sindaco prima disposto a cedere la mano e poi determinato a riconquistare la carica dopo che il suo delfino (Benoît Magimel) lo ha tradito in un modo così plateale da far presagire che vi sia dell’altro al di là della corsa al ruolo di primo cittadino. Tra i protagonisti e la città si interpongono politici corrotti, spacciatori, residenti delle banlieue, tutti divisi sorprendentemente da massimo due gradi di separazione.

Marsiglia è un prodotto molto tradizionale, verrebbe da dire ingenuo nell’epoca in cui si sono affermate serie televisive più complesse. Simile nel suo incedere a una telenovela ma con più esterni. Intrighi e complotti, ribaltamenti di ruoli e colpi di scena a ripetizione, soprattutto alla fine di ognuna delle otto puntate che compongono la prima stagione (la seconda è stata appena ordinata), probabilmente per invogliare lo spettatore a proseguire nella visione e nel rapido consumo degli episodi.Personaggi incatenati a una scrittura senza zone grigie: i cattivi sono molto cattivi, gli stupidi molto stupidi, i politici degli intrallazzoni nella migliore delle ipotesi, dei veri e propri criminali nella peggiore. E poi le donne, prive di una volontà, pedine sacrificabili sull’altare del potere, quello che non si desidera ricevere bensì prendere a qualsiasi costo. E da questo punto di vista, neanche i poveri ragazzi delle banlieue brillano per indipendenza di pensiero e capacità di costruirsi il proprio destino. Tutti soggiogati dai piani di tre al massimo quattro uomini.

In questo gioco per la conquista del potere, Marsiglia dovrebbe rimandare inevitabilmente a esempi illustri quali House of Cards (altro prodotto Netflix), l’ottimo Boss (prodotto anche da Gus Van Sant) e l’ineguagliabile The Wire. Tre titoli, più o meno recenti, ai quali la storia del sindaco Robert Taro e del suo delfino e avversario Lucas Barres avrebbe potuto ispirarsi, certamente non per copiarne in modo pedissequo le vicende. The Wire e le serie che da questa discendono, raccontano esistenze, rivelano i demoni dell’animo umano, colgono sfumature che appartengono a ognuno di noi, insomma mettono in scena la vita e solo in seconda battuta ampliano l’orizzonte esibendo azioni criminali o di altro genere. Frank Underwood, soprattutto quello della prima stagione di House of Cards, è prima di tutto un uomo con delle ambizioni e debolezze, con ideali e bassezze, e gli autori per raccontarlo lo fanno diventare presidente. Se avessero invertito il procedimento, avremmo avuto la vicenda di una funzione incarnata da un uomo.

In Marsiglia, come del resto in altri prodotti sia europei che nordamericani, si ha la sensazione che si inizi da una tesi da seguire senza variazioni di tema, ad esempio che la politica sia un gioco sporco con delle regole alle quali tutti devono adattarsi. Le storie personali quindi sono contemplate solo per corroborare quella sporcizia e per donare, casomai, un colpo di scena all’episodio.

Una modalità che per certi versi ricalca un vecchio sistema di scrittura televisiva, quello che di settimana in settimana garantiva allo spettatore la chiarezza degli intenti, non sottoponendolo a complicazioni che potevano fargli perdere il filo della narrazione. Ed è sorprendente che proprio il prodotto di una piattaforma che consegna all’utente un intero arco narrativo rifiuti programmaticamente di sfidare lo spettatore sul complesso terreno delle vicende umane.