«Tutto ok, il test è stato condotto con successo, tutto è andato come era stato programmato». Ieri il ministro della difesa israeliano Moshe Yaalon non nascondeva la sua soddisfazione per la riuscita dell’esperimento di difesa antimissile eseguito nelle acque del Mediterraneo Orientale, durante le manovre militari congiunte con gli Stati Uniti. Per molti minuti però il test israeliano ha tenuto accese le luci dell’allarme rosso in Siria. I sistemi di sorveglianza russi infatti dopo avere registrato il lancio di due «missili balistici» aveva prontamente avvertito Damasco dove non pochi hanno pensato all’inizio dell’attacco franco-americano.

Tutto si è chiarito in poco tempo. Inizialmente Israele ha negato, poi ha ammesso il lancio di missili a scopo di esercitazione. Da Tel Aviv hanno spiegato che il test è consistito nella distruzione di missili “Ankor Kahol” (Sparrow), vettori da addestramento che si muovono come i missili balistici, allo scopo di testare i sistemi di difesa anti-missile del Paese. Qualche ora il Dipartimento della Difesa Usa ha confermato di «aver fornito assistenza tecnica e sostegno» agli israeliani per condurre il loro test, negando che l’iniziativa fosse collegata in qualche modo al possibile attacco contro la Siria. Obiettivo delle manovre è stato anche quello di ribadire di fronte al mondo che l’alleanza tra Washington e Tel Aviv è inossidabile…nonostante l’ “indecisione” di Barack Obama sui tempi della guerra alla Siria. E ieri il presidente americano durante i suoi incontri  per persuadere il Congresso a dare il via libera definitivo alla nuova guerra in Medio Oriente, ha usato una carta politica che in America ha sempre un grande peso: la difesa e la sicurezza di Israele. Obama ha sottolineato che Israele sarebbe in forte pericolo, nel caso in cui Bashar Assad non fosse «punito» per il presunto uso del gas a Ghouta. Qualche giorno fa John Kerry aveva addirittura paragonato il presidente siriano a Hitler.

Gerusalemme certo non si mobilita per tranquillare Damasco, anzi, flette i muscoli. La linea del governo del premier Netanyahu punta proprio a tenere sotto pressione il regime di Bashar Assad e, di riflesso, il “nemico” l’Iran. «Abbiamo un ‘Iron Dome’ a cui si unisce la nostra volonta’ di ferro» ha affermato Netanyahu facendo riferimento al sistema antimissile “Cupola di ferro” a difesa del Paese. Dopo la “delusione” per lo stop all’attacco alla Siria deciso sabato scorso da Obama, adesso in casa israeliana si guarda con “rinnovato ottimismo” a ciò che avverrà nei prossimi giorni. A Capitol Hill il partito della guerra comincia ad avere il sopravvento. Così i comandi militari Usa ammassano forze nel Mediterraneo orientale dove la Us Navy ha già cinque cacciatorpediniere, dotati di missili da crociera Tomahawk, e forse alcuni sottomarini nucleari. La portaerei Nimitz ha lasciato il Golfo e sta per entrare nel mar Rosso, assieme a quattro cacciatorpediniere e un incrociatore, pronta se necessario a passare all’azione. In allerta sono anche le basi aeree in Turchia con il comando aereo Nato di Smirne e le strutture di supporto navale di Smirne e Ankara. Senza dimenticare la base di appoggio della Sesta Flotta Usa proprio in Israele, a due passi dalla Siria, nel porto di Haifa.

Il fine del gigantesco intervento militare che sta per scattare è anche quello di inviare un messaggio all’Iran, come insiste da tempo il governo Netanyahu, nonostante il rischio di fallimento per i contatti che dietro le quinte l’Amministrazione Obama ha avviato col nuovo presidente iraniano Hassan Rouhani, che negli ultimi tempi sembrano aver compiuto qualche passo in avanti. Lo scriveva ieri il New York Times, ricordando che la scorsa settimana, Jeffery Feltman, ex ambasciatore Usa a Beirut, è stato in Iran dove ha incontraro il nuovo ministro degli esteri iraniano, Javas Zarif, con cui ha parlato delle possibili ripercussioni di un attacco Usa alla Siria. «Sono convinto Rouhani e Zarif vogliono superare l’ostilità tra Stati Uniti e Iran, ma un’azione militare in Siria potrebbe essere una rovina», ha detto al quotidiano americano Hossein Mousavian, ex negoziatore nucleare per l’Iran. In Siria intanto si continua a combattere. L’esercito ha ripreso il controllo della località strategica di Ariha, sulla strada di collegamento principale fra le provincie di Idlib – di cui l’esercito controlla solo alcune parti del capoluogo – e Latakia.