Con l’intensificarsi delle iniziative diplomatiche in vista della conferenza di Ginevra II, che avrà luogo il prossimo 23 novembre, una soluzione politica per la crisi siriana appare tutta da costruire. Abbiamo raggiunto al telefono a Los Angeles, James Gelvin, docente di storia del Medio oriente all’Università della California, autore de The Arab uprisings (Oxford, 2013).

Crede che Ginevra II possa avere esito positivo?

La conferenza rischia di non portare a nulla per l’assenza di un’opposizione unificata e di un portavoce attendibile. Uno dei temi che spacca gli insorti è se ci deve essere o meno un negoziato con il governo di Assad. La Coalizione nazionale è troppo vicina agli interessi occidentali per essere rappresentativa delle opposizioni. Anche chi tra le opposizioni cerca di dialogare con il governo rischia di essere poco rappresentativo. Mentre la parte che si sente al momento dei colloqui «vincente» non parteciperà a Ginevra II perché spera in una soluzione militare.

Quale può essere il ruolo di Russia, Francia e Gran Bretagna in questo contesto?

Mosca ha offerto una difesa diplomatica al regime, impedendo la risoluzione del Consiglio di sicurezza. Francia e Gran Bretagna non hanno nessuna voglia di intervenire militarmente. Certo è che degradare la capacità del governo siriano rappresenta una vera e propria politica anti-umanitaria. A questo punto si arriverà al paradosso in base al quale se l’Occidente dovesse intervenire sarebbe per far proseguire il regime di Assad piuttosto che per rimuoverlo.

Quali sono invece le intenzioni del presidente degli Stati uniti, Barack Obama, che oltre un mese fa aveva parlato di un possibile intervento?

La politica degli Stati uniti è stata di incoraggiare lo svolgimento di Ginevra II per permettere a Usa e Russia, elementi del regime e coalizione nazionale di sedersi a un tavolo e discutere, escludendo i jihadisti. Quindi il tentativo di Obama è di allontanare l’opzione militare e di portare le parti insieme, inclusi Hezbollah e Iran. Gli Stati uniti hanno chiuso gli occhi mentre sauditi e qatarini armavano gli insorti. Ora il popolo americano è fermamente contrario ad un intervento, basta ricordare le reazioni alle dichiarazioni di Obama su un possibile attacco. Esistono in questo momento tre tendenze: i democratici e l’estrema destra, come il senatore del Kentucky Rand Paul, che si possono definire «isolazionisti”; poi ci sono gli interventisti-liberal: gli stessi che volevano attaccare Iraq e Libia; e i neo-con che pure sono per intervenire poiché credono che il crollo economico del 2008 sia legato all’indebolimento della presenza degli Stati uniti in Medio oriente.

Eppure gli insorti appaiono estremamente frammentati?

In questo momento il conflitto è favorevole al governo. Mentre le opposizioni non possono fare altro che lavorare a livello locale. Esistono ben 13 fazioni islamiste. L’Esercito libero siriano (Els) combatte contro i jihadisti di al Nusra. L’Els è diviso al suo interno e vorrebbe creare un fronte islamico che metta in pratica ciò che dice il regime: la diffusione dell’estremismo sunnita. Questo atteggiamento permette al regime di continuare ad avere un’influenza sulle minoranze. Ma anche al Nusra al suo interno è divisa tra chi è per uno stato islamico e chi vuole uno stato sul modello iraqeno. In terzo luogo, i kurdi sono divisi tra pro-iracheni e pro-turchi. E i secondi tra favorevoli e contrari al sostegno a Partito dei lavoratori kurdi (Pkk).

Crede che il lavoro dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac), che ha appena ottenuto il premio Nobel per la pace, possa essere efficace?

Il governo centrale non ha il controllo dell’arsenale chimico. Gli osservatori servono ad assicurare che le armi chimiche non vadano nelle mani di Hezbollah e dei jihadisti. Questo sarebbe lo scenario peggiore. Ma è difficile essere ottimisti sulla possibilità che vengano distrutte. Se restano armi chimiche nascoste questo è un problema per Israele. Perciò è interesse di Israele che la guerra civile continui. Se una delle due parti dovesse prevalere, gli ispettori potrebbero parzialmente sequestrare le armi chimiche ma non le troverebbero tutte. E questo scenario potrebbe favorire un attacco israeliano.

E così si fa strada il tentativo di Obama di spingere per il riavvicinamento tra Usa e Iran?

Risanare lo scontro sciiti-sunniti è un viaggio lungo. Se anche il Congresso degli Stati uniti dovesse dare il via libera ad Obama per modifiche alle sanzioni all’Iran, queste non potrebbero precedere la fine di ogni velleità a proseguire nel programma nucleare. E così un riavvicinamento degli Stati uniti con l’Iran presenta due ostacoli maggiori: l’Arabia saudita e Israele. Non solo, nasconde tensioni delle lobby straniere del petrolio e dei gruppi di pressione israeliani su Washington.