La parte di Malvasia è il titolo del romanzo di Gilda Policastro (La nave di Teseo, pp. 208, euro 17) e Malvasia è il nome della protagonista, o meglio della donna che dà avvio a questa storia. La parola nel suo significato di malvagia rimanda a tutte le vittime di femminicidio, a tutte le donne che sono state uccise perché in qualche modo sono state considerate frutto della malapianta.

IL ROMANZO PROCEDE per suggestioni ed è quanto meno spiazzante: la prima parte induce la lettrice e il lettore a pensare che si tratti di un giallo, con tutta la linearità del caso. C’è l’omicidio di una donna che si è trasferita in un piccolo paese, prendendo possesso della casa della madre defunta. Nessuno sa come Malvasia trascorra il suo tempo, lei è la rappresentazione perfetta della «forestiera» che approda in un piccolo centro, suscitando la curiosità e la diffidenza, che potrebbero essere riservate a un’aliena originaria di un’altra galassia. Sulla morte della donna che sembra essere avvenuta a causa di un’aggressione indagano il commissario Arena e l’agente Gippo, che si rivelerà essere una delle principali voci narranti del romanzo.

IL TESTO HA INFATTI dei passaggi repentini: da questo incipit piuttosto classico che conduce direttamente sulla scena del delitto e poi a conoscere gli investigatori che si devono occupare del caso, la lettura subisce una deviazione tanto brusca quanto inaspettata e non sarà l’unica. Dopo un breve approdo nella vita di Malvasia, tramite i racconti che fanno gli indagati a Gippo, l’attenzione viene deviata sull’agente.
Gippo è particolarmente attratto da Malvasia, tanto che a un certo punto chi legge crede di trovarsi di fronte all’evidenza che sia lui l’assassino. La vittima era una donna di quasi mezza età, sola e impigliata in diverse relazioni per lo più clandestine, che suscita nell’agente un interesse morboso, parallelo al suo desiderio sessuale, torbido o solo represso. Non è questo, però, il nord del testo: non è lo scoop sempre consolante al cuore di ogni giallo che si rispetti, di aver trovato l’assassino. Di nuovo Policastro sposta, o meglio dà una spinta alla giostra su cui sono seduti i suoi lettori e con la testa che gira li porta altrove.

IL PUNTO SUCCESSIVO potrebbe infatti essere individuato nell’attenzione che l’autrice pone sulla violenza contro i bambini, sul sadismo, sull’orrore. Poi la virata ulteriore tocca la cifra dell’assurdo con la comparsa sulla scena di Geppa, primo amore di Gippo, del padre nano e della madre iperprotettiva di lui che diventa nel giro di poche pagine e molte capriole la madre di Malvasia, che riprende la parola e interrompe il patto narrativo.

La ragione di questo intreccio vorticoso potrebbe essere ricercata nella necessità di rappresentare l’insensatezza dell’esistenza, l’orrore incomprensibile, la colpa umana da cui scaturiscono i femminicidi, su cui Policastro riporta dati reali. In questo intreccio emerge l’evidenza che il romanzo è un testo sulla morte, sul suo ripetersi inevitabilmente, con strategie diverse che spaziano dalla lunga malattia, all’infarto, l’omicidio, l’incidente, il suicidio. Nel mezzo, la vita è una sorta di condanna a essere se stessi, origine e destinatari di un universo di bugie e fraintendimenti.